Numerosi giochi si svolgevano nel mondo etrusco come il Gioco della fune che veniva praticato da giovani appartenenti a famiglie più povere e la Truia, un gioco del quale ancora si ignorano le regole ma, sostanzialmente, praticato da maschi di buona famiglia che a cavallo dovevano seguire un tracciato complicatissimo simile ad un labirinto dimostrando la loro abilità nel guidare l’animale nel difficile e impegnativo percorso. Fu giocato dai Romani che nella loro lingua chiamavano “Ludus Troia” fino al I secolo a.C., introdotto sicuramente dalla tradizione etrusca.
Accanto a queste prove atletiche piacevoli da seguire come spettatori e da leggere e fruire nell’iconografia artistica, se ne svolgevano altre caratterizzate da una terribile crudeltà come il gioco del Phersu.
Il Phersu, era un personaggio così chiamato dal particolare copricapo a punta che indossava. È raffigurato barbuto e mascherato mentre dirige un’attività di lotta tra un uomo e un animale. Nella Tomba degli Auguri a Tarquinia si trova rappresentata una scena di Phersu: una figura mascherata, infatti, sta aizzando un cane feroce che tiene al guinzaglio contro un’altra figura con la testa coperta da un cappuccio che regge in mano una clava con cui tende disperatamente di difendersi dando colpi nell’aria, alla cieca. Se l’uomo fosse riuscito nell’impresa di uccidere la bestia avrebbe riacquistato la libertà. Da Phersu deriva forse il latino Persona, il nome che assumerà definitivamente la maschera teatrale.
La tradizione vuole che i giochi gladiatori dell’antica Roma, nel loro aspetto crudele e tragico, siano nati nel mondo etrusco e, probabilmente, da questo.
Ma si fanno altre ipotesi sull’origine del Phersu, fra queste ricordiamo in particolare le seguenti:
Diana e Atteone. Si riferisce all’episodio in cui il giovane Atteone vide la dea nuda facendo il bagno e fu da questa trasformato in cervo e fatto sbranare dai cani: “Mentre Diana si bagnava così alla sua solita fonte, / ecco il nipote di Cadmo, prima di riprendere la caccia, / vagando a caso per quel bosco che non conosceva, / arrivò a quel sacro recesso: qui lo condusse il destino. / Appena entrò nella grotta irrorata dalla fonte, / le ninfe, nude com’erano, alla vista di un uomo / si percossero il petto e riempirono il bosco intero / di urla incontrollate, poi corsero a disporsi intorno a Diana / per coprirla con i loro corpi; ma, per la sua statura, / la dea tutte sovrastava di una testa […]. Senza altre minacce, / sul suo capo gocciolante impose corna di cervo adulto, / gli allungò il collo, gli appuntì in cima le orecchie, / gli mutò le mani in piedi, le braccia in lunghe zampe, / e gli ammantò il corpo di un vello a chiazze. […] mentre si arrovellava, lo avvistarono i cani […]. Ma quei cani / da ogni parte l’attorniano e, affondando le zanne nel corpo, / sbranano il loro padrone sotto il simulacro di un cervo: / […]” (Ovidio, Metamorfosi, Libro III, 173-250).
Ercole e Cèrbero. Nell’ultima fatica, la dodicesima, la più difficile. Era Cèrbero il cane che custodiva la porta dell’Ade e fu riportato sulla terra da Ercole che era sceso nel mondo dei morti. Aveva diverse teste ma si usava rappresentarlo con tre; Plutone acconsentì ad Ercole di portarlo con sé a patto che non adoperasse armi per catturarlo. Ercole lo strinse alla gola fino a quando non ebbe ragione di lui. Poi lo legò con una catena e lo portò fuori dall’Ade al re Euristeo che glielo aveva commissionato, sicuro che Ercole sarebbe stato ucciso dall’animale: “di nuovo, una seconda volta, ella (Echidna) generò un essere terribile, innominabile, il sanguinario Cèrbero, il cane dell’Ade dalla voce di bronzo, dalle cinquanta teste, crudele e violento.” (Esiodo, Teogonia, 311-314). E questo episodio è quello che più si avvicina a quello raccontato dal gioco del Phersu che gli Etruschi praticavano durante il lutto per la morte di un personaggio importante chiamando a interpretarlo la vittima che era sempre uno schiavo.
Ma sono tutte notizie che la mitologia ci ha tramandato. La verità è che a distanza di millenni non è ancora possibile precisare l’origine di questo gioco che dalle immagini della ceramografia e dell’arte pittorica parietale, sembra uno dei più crudeli dell’antichità. Ma era proprio così?
Giombattista Corallo
Il gioco del Phersu
Tarquinia, Tomba degli Àuguri, 530-520 a.C.