Quasi 400 i siti da bonificare individuati in Toscana, ma i soldi bastano solo per pochi interventi. Dai report di Arpat le province più intossicate di veleni sono Livorno con 274 siti inquinati e 5.319 ettari da bonificare; Grosseto con 172 luoghi a rischio e 3.072 ettari interessati; Firenze con 583 siti ma 957 ettari. Prato e Siena, con 25 e 176 ettari sembrano le meno inquinate.
Le matrici ambientali (suolo, sottosuolo, acque superficiali e profonde) sono state compromesse da attività antropiche che spesso, soprattutto in passato, non sono state gestite con una forte sensibiltà ambientale. Il decreto Ronchi (art. 17 del D.Lgs. n. 22/97) ha, alla fine degli anni Novanta, ha permesso di affrontare il problema dei siti contaminati e della loro bonifica. In Toscana abbiamo purtroppo esempi importanti di inquinamento ambientale come nel caso delle Miniere di pirite di Valdicastello di cui si vede il veleno rosso nei torrenti e nelle analisi del sangue di trecento residenti. Le emergeze rosse segnalate da Arpat sono quelle del Parco La Grotta a Carrara, la Discarica di Paterno di Vaglia, l’ex Discarica Scacciapulci di San Miniato, l’ex stabilimento Metalcromo di Barberino Valdelsa e il Maneggio di Monteriggioni. Tra le zone segnate in arancio troviamo anche il Laghetto Muraglione di Abbadia San Salvatore e l’ex area di rottamazione Coseca di Grosseto. La cifra stimata per il risanamento dei 377 siti è di un milione di euro ma la Regione Toscana, al momento, ha appena 128 milioni spendibili. L’assessore regionale all’ambiente Federica Fratoni conta su altri finanziamenti statali e sull’ecotassa, ma non si conoscono i tempi reali d’attesa. Nel 2018 dovrebbero inziziare i risanamenti dell’area di Massa, inquinata dalle fabbriche chimiche, e della falda intossicata dagli scarti della acciaierie di Piombino. Una speranza si apre anche per suolo e pozzi del livornese danneggiati dalle centrali e per la laguna di Orbetello, compromessa dalle infiltrazioni della vecchia fabbrica di concimi Sitoco.