Nell’attuale contesto politico, si fronteggiano al Parlamento, secondo schieramenti precostituiti maggioranza e opposizione. Negli ultimi tempi è diventato comune utilizzare termini aventi significato contrario o concettualmente estremi, come ad esempio riformisti e conservatori, moderati e non moderati e via dicendo, ma a un’attenta analisi, queste caratteristiche non sono più identificabili in un determinato partito politico che sostiene il governo o nell’opposizione che lo contrasta.
Basta ascoltare i comunicati stampa, le interviste e le dichiarazioni di illustri onorevoli, per comprendere che spesso autoproclamazione non sempre corrisponde un comportamento adeguato. È ormai noto che nell’ambito dello stesso partito esistono più correnti di pensiero, che tuttavia confluiscono in linea d’intesa di massima, che dovrebbe concretizzarsi con una condotta lineare nelle decisioni di governo o dell’’opposizione che sostiene un’alternativa al governo stesso. Quello che invece è più raro, ma non impossibile, è la presenza di una dichiarata opposizione nell’ambito dello stesso partito di maggioranza. Un esempio eclatante fu il distinguo di Fini all’interno del partito della libertà e poi di Alfano, che di fatto s ha dato origine a una scissione.
Cambiano i tempi ma una cosa analoga sembra si stia ripetendo nuovamente anche all’interno del partito democratico. Infatti una parte di “eletti” nelle file di questo partito (la minoranza), che ha animato una doverosa e opportuna opera di discussione interna al partito stesso, sostiene che l’attuale leader avrebbe usurpato la leadership di un partito in cui loro non si riconoscono più. A onor del vero il partito democratico guidato dall’attuale segretario rispecchia l’idea di un “partito maggioritario” rilanciata da Veltroni. Nella sostanza, dall’intervento di Staino sull’Unità, si capisce come sostanzialmente questa cosiddetta minoranza, preferisca esercitare una opposizione fine a se stessa, piuttosto che prendersi delle responsabilità di abbandonare tutti i privilegi di cui attualmente gode e proporre un progetto politico alternativo circostanziato. Se ciò non accade, è perché tra loro ci sono portaborse, consapevoli che hanno scarse possibilità di diventare leader. Ad una lettura attenta dell’intervento di Staino, si desume che questo può indebolire la maggioranza, senza apportare costruttivismo per il bene del paese. D’altra parte è anche vero che con la risicata percentuale di consensi che potrebbe avere in una possibile futura tornata elettorale è improbabile che possano assumere un ruolo primario. In sostanza quindi, la minoranza sopra citata appare il grimaldello per spodestare l’attuale governo e consegnarlo a un un’altra forza politica. Viene allora da domandarsi quale delle formazioni politiche, che attualmente sono sulla scena, potrebbe rivestire questo ruolo. Questa via appare anomala, rispetto alla logica alternanza elettorale basata sul confronto democratico delle idee e di progetti politici diversi. Nello situazione in cui versa il nostro paese non c’è spazio per la sistematica distruzione della tela di Penelope per prendere tempo, senza fare nulla per i bisogni del paese, ma solo per organizzarsi a rimanere nella paradisiaca scena politica senza utilità per i cittadini. Questo atteggiamento non appare riformista, ma conservatore e deleterio, la cui esistenza si giustifica tanto più, quanto maggiore è il malessere della popolazione per ergersi a paladini della difesa dal malcontento.
A riprova che il riformismo non è esclusivo di un solo partito è confermato dal fatto che alcune leggi proposte dalla maggioranza sono state votate anche da alcuni esponenti dell’opposizione, rispettando un principio dettato da Pres. della Repubblica ovvero che “ le riforme del paese si fanno insieme” e non per “decisioni prese a priori”. Allora è evidente che un discorso di questo genere andrebbe a smantellare tutta la sterile campagna politica e di delegittimazione che spesso fa diventare nemici quelli che in realtà non lo sono.
A sostegno di queste ipotesi giova allora riportare alcuni tratti dell’articolo di Staino e la relativa risposta di Cuperlo. Queste parti si spiegano da sole, giudicatelo voi.
Staino scrive:
“Oggi, così come vi comportate con Renzi, a mio avviso state pericolosamente aiutando una futura tragica vittoria di un Salvini o di un Grillo. …”…
“Ma detto questo, non mi riconosco certo in chi vede in lui il rappresentante di una feroce destra neoliberista totalmente asservita al capitale finanziario. Un rappresentante che, per chissà quale magia, si è appropriato del nostro partito e che bisogna quindi combattere ed annullare con tutti i mezzi possibili, i più scorretti compresi. Renzi invece, è per noi, tu ed io, il risultato di una nostra politica e di un nostro atteggiamento etico e morale”………
“Un sano atteggiamento riformista deve quindi, oggi, partire da questa constatazione: il lavoro fatto fino a ieri dai nostri dirigenti ha portato Renzi alla segreteria del partito e al governo e quindi, fino a prova contraria, non esistendo altre forze alternative di sinistra, Renzi è quanto di più progressista si possa avere in Italia in questo momento storico. Non esiste altro, non è pensabile che pattuglie sparute di compagni indignati e incazzati fino allo stravolgimento dei sensi, se ne escano autoproclamandosi “alternativa”. Quale alternativa? Che analisi hanno fatto? Che progetto hanno? Quanti compagni hanno dietro? Quanto l’immagine di loro è credibile e radicata tra le masse popolari italiane? È la solita infima minoranza che gira le loro assemblee, cambiano nomi ma son sempre quelli. Allora, ti chiedo, che senso ha fare una guerriglia interna al Pd quando non si hanno obbiettivi su cui spostare l’opinione, le speranze e la forza dei nostri militanti e dei nostri elettori? Cosa stai offrendo di concreto al loro smarrimento? Nulla…”
Cuperlo risponde:
“Oggi mi pare che anche quella liquidazione appaia meno scontata. Si torna a cercare, forse anche sospinti dal dramma dell’Europa. Ma al netto di questo sono io a dirti che una svolta serve e che in questi mesi non siamo riusciti a fare ciò che sarebbe stato necessario. Penso però che i nostri limiti non siano quelli indicati da te. Credo non sia stato un errore dire la nostra quando si battezzavano come riforme scelte che in altri tempi e fatte dai nostri avversari avremmo definito strappi irricevibili. O affermare che la legge elettorale non si vota ponendo la fiducia. Il limite invece è non essere riusciti a raccontare e far vivere un’altra idea di democrazia, economia, diritti. Quella che dovrebbe orientare la bussola di una sinistra in Europa e oltre i suoi confini. Il limite è stato lasciare l’impressione di una sinistra del Pd intristita e aggrovigliata in rivalse o rimpianti. Ma questo, forse lo sai, non è il sentimento mio e di tanti. Ed è la ragione per cui, oltre al dispiacere, l’uscita di persone care mi preoccupa. È perché quegli abbandoni non mi paiono, come sembra a te, riflessi di egoismi antichi. La via dell’uscita di quelle biografie per me è un segno che riguarda il Pd tutto”.