È quella di San Giovanni la notte più magica dell’anno: malìe, incantesimi, riti e credenze si fondono e danzano alla luce delle stelle.
È la notte più frequentata dell’anno, in molti si aggirano nei prati per purificarsi con la rugiada, rotolandosi nell’erba bagnata che, secondo la tradizione, renderà il fisico scattante e proteggerà da ogni malattia.
In tale notte, infatti, stando ai numerosi proverbi, “tutto può accadere e a tutto si può rimediare”, ed è sintomatico che questo sia il periodo più propizio per la salute, il benessere, i fidanzamenti, ma anche per il malocchio!
A questa festa si associano tante superstizioni, al punto che è tradizionalmente conosciuta come la notte delle streghe. Infatti la tradizione popolare vuole che, in questo particolare momento astrale, le streghe si radunassero nei crocicchi delle strade per espletare i loro sortilegi, dal momento che a loro volta erano favorite dalle speciali potenzialità dell’acqua di San Giovanni.
Tra le usanze popolari più note vi era quella di accendere nella notte, in cima alle colline, dei falò purificatori e rigeneranti in onore del sole. Con questi fuochi il contadino voleva propiziarsi la benevolenza dell’astro perché continuasse a garantire luce e nello stesso tempo, bruciando cose vecchie, allontanasse con il fumo, gli spiriti maligni e le streghe.
Si riteneva inoltre che la forma assunta dalla chiara dell’uovo messa in una bottiglia d’acqua e lasciata tutta la notte sul davanzale, permettesse di pronosticare il futuro. Se si scorgeva una torre, era segno che si doveva cambiare casa, se c’erano dei fiori, entro l’anno sarebbe fiorito qualche avvenimento positivo, mentre le croci erano simbolo di morte, le spighe di buone novità e due torri certezza assoluta di matrimonio.
Le ragazze cercavano anche di indovinare, attraverso la forma approssimativa del disegno, la professione del futuro sposo. Se l’albume ricordava una pecora, lo sposo sarebbe stato un pastore, se ricordava un incudine un fabbro, una penna o un libro indicavano una persona istruita, una barca un marinaio…
Si riteneva inoltre che questo periodo fosse propizio per i fidanzamenti. Per questo di buon augurio erano considerate le infiorate che i giovani facevano sui davanzali ed alle porte della casa dell’amata, con rami, fiori e frutta.
Un’usanza molto diffusa era quella della raccolta delle erbe, che in questa notte, bagnate dalla rugiada, avevano funzioni farmacologiche. Si riteneva addirittura che chiunque si bagnasse con la “guazza” si dotava di una barriera in grado di difendere da ogni tipo di corruzione.
Un catino colmo d’acqua con spighe di lavanda, petali di fiori ed erbe odorose lasciato per tutta la notte all’esposizione astrale e ritirato prima del primo raggio del sole del mattino, conteneva acqua fiorita dalle virtù taumaturgiche, capace di mantenere giovane e bella la persona che la usava per lavarsi il volto al sorgere del sole. Quest’acqua guariva le infiammazioni ed allontanava il malocchio.
Con l’utilizzo delle erbe si potevano preparare anche talismani, con la convinzione che la singolare posizione degli astri concorresse a caricarli di virtù.
Tra le erbe di San Giovanni usate come talismani possiamo ricordare:
l’iperico dai fiori gialli, da tenersi sul corpo tutta la notte, per proteggersi dalle sventure e garantire sonni sereni.
L’artemisia, contro il malocchio.
La ruta, per le proprietà curative e come scaccia diavoli, data la sua forma che ricorda la croce.
La salvia per proteggere dalle persone malvagie.
Il ribes ed i frutti rossi, chiamati anche bacche di San Giovanni.
L’aglio, potentissimo talismano, se raccolto prima del sorgere del sole.
La lavanda, che riposta a mazzetti negli armadi, protegge la biancheria, e per estensione anche tutta la famiglia.
Ed infine, sfidando chiunque a trovarla, la mandragora, ritenuta dal Tacuinus Sanitatis una delle piante più pericolose, con la doppia facoltà di sedare ed eccitare data la sua essenza ambivalente, maschio e femmina, usata per preparare narcotici, filtri d’amore e soprattutto controveleni.
Spesso la mandragora viene raffigurata insieme a serpi e scorpioni per le sue proprietà di risanare dal morso velenoso. Basti pensare alla formella in terracotta di San Girolamo nel deserto, raffigurato da Andrea della Robbia nella Pieve di Santa Fiora. L’agiografia ricorda che San Girolamo si ritirò per quattro anni nel deserto siriano conducendo vita eremitica, con la sola compagnia di scorpioni e bestie feroci. Lo scorpione rimanda alla simbologia della Y ed allude al concetto di morte-rinascita. Il serpente, nella tradizione cristiana, incarna il male. Entrambi insidiano l’asceta. In suo aiuto le erbe officinali della farmacopea rinascimentale con le loro proprietà terapeutiche. Nella formella in basso a sinistra compare infatti una rigogliosa pianta di mandragora, le cui radici triturate ed ingerite, secondo la credenza dell’epoca, annullavano il veleno.