Scrivere di politica mi ha sempre disgustato. Non sono un qualunquista, né uno che si sente superiore. Il problema è che reputo la politica la scimmia della filosofia. Di filosofia parlar oggi non si deve, a meno che non si sia saggisti. Cos’è un saggista? Uno che non avendo idee si mette a scrivere su quelle degli altri. Non mi interessa dirvi il significato etimologico di questo termine, ma solo ciò che io intendo per amore del pensiero. O meglio rifiuto la “sapienza” per abbracciare il problematizzare. Quindi pensiero, pensiero, pensiero…in tutte le sue forme, in tutto il suo assordante rumore. Che la conoscenza quantitativa delle cose abbia valore l’ho sempre dubitato, adesso però ne sono certo; che avere, perciò, tanta erudizione sia una maledizione, è per me ora chiaro. “Io so, di non sapere” non è una coda di pavone aperta per ingraziarsi il favore degli uomini, è una constatazione. Ma… A tutto c’è un limite. Girando per calmarmi nei cimiteri ho imparato ad avere coraggio, non però con le parole ma con i segni che il mio telegrafo manda attraverso il linguaggio Morse. Carl Gustav Jung affermò in una intervista di aver capito chi era una mattina mentre adolescente andava a scuola, all’improvviso si disse “io sono”: io sono già in là con gli anni e ancora non sono, anzi la mia consapevolezza è tutta fondata sul “non so chi sono”. Forse Parmenide potrebbe meglio spiegarci, se ancora fosse vivo, ciò che intendesse, quando asseriva “che l’essere è, e il non essere non è”. Che qualcuno pensi “ma chi se ne frega di saperlo”, onestamente mi emoziona. Ma che volete, son fatto così, sono uno che crede di essere libero di dire…attenzione soltanto di dire. Di dirvi chi sono: un povero, disperato venditore di chiacchere. Ragion per cui adesso vi spiego perché la fine del mondo è alle porte. Il mondo finirà il prossimo primo maggio. Ormai è stabilito, nelle alte sfere tutti lo sanno, nelle basse nessuno. Sempre la solita storia. Ma Dio, che è democratico, ha deciso di scegliere la festa dei lavoratori per farvi partecipare tutti. Il segnale più inquietante dell’approssimarsi della fine è il predominio del giudizio deduttivo, di quello cioè che pone il piccolo in relazione soltanto all’universale. Un esempio, l’Europa: c’è un progetto, fatto non si sa bene da chi, che ha la pretesa di calare dall’alto su realtà particolari nazionali e statali, forzandole ad adeguarsi a sé stesso. Il suo “sé” è fondato sull’economia, sui numeri, sulla finanza: tutte e tre si servono del linguaggio matematico, che non è scienza ma solo strumento tecnico. Non esiste un’economia induttiva, tant’è vero che essa ha bisogno a priori di modelli e di idee di sviluppo: c’è quella del mercato libero, quella socialista, quella comunista ecc, e infatti pur servendosi della matematica non prevede con esattezza, può solo dire statisticamente. Se io ho cento euro nessuno può sapere come li spenderò, perché le mie scelte sono dettate da motivazioni che sfuggono ad analisi. C’è alla loro base “caso”, ego e morale. L’etica c’è anche quando non c’è! Negarla significa avere una morale. I numeri sono utili in funzione delle scienze empiriche: chimica, fisica, ecc., ma non spiegano niente. Non hanno un significato proprio, anche se tiriamo in ballo il concetto di quantità o di unicità, che sono altra cosa da loro. La finanza è la metafisica dell’economia, ha realtà nulla: la sua realtà sta nei desideri di chi ama il potere. Queste persone giustificano azioni che cambiano la vita di interi stati, con la necessità. Ma quale necessità, se si tratta invece di contingenti motivi per mantenere il comando del mondo o di sue parti; di mantenere equilibri contingentissimi di determinati gruppi umani. I numeri non aiutano a capire, se diamo loro un significato proprio cadiamo nel tragico errore di toglierci la vista, di impedirci la comprensione dei fatti. Dobbiamo invece, come fanno gli scienziati delle scienze induttive servircene solo per guidare gli esperimenti. Esperimenti che hanno valore per l’uomo solo se sono guidati dal sentire l’esistenza come un mistero da svelare, da tentare di comprendere; senza superbia e atmosfere accademiche. In poche parole è l’idea che abbiamo del mondo e dell’uomo che crea l’economia, la finanza, e l’uso che facciamo dei numeri. L’Europa sta pagando la rinuncia alla ricerca filosofica, al fare filosofia cercando nel mondo e nell’uomo. Mancano i pensatori, che rinnovino l’anima della società. La filosofia è stata sostituita dalla meccanica, dalla tecnica, da un modello di conoscenza che ha il suo grund in una visione della società in cui gli uomini sono numeri, pedine da utilizzare come in un grande gioco voluto da pochi. Per questo denaro, pubblicità, condizionamento mediatico ci spingono verso Mordor, verso il nulla. Non è vero che oggi non c’è morale, oggi c’è l’antimorale che crea l’illusione dell’assenza del bene e del male. Ma questi invece ci sono, altrimenti oggi i suicidi sarebbero miliardi, visto che in assenza di essi la morte sarebbe un sollievo per una larga fetta di umanità. Ma la paura di essa e di un possibile giudizio, anche solo karmico, il bisogno di affetto, di comprensione, non lo permettono. Basterebbe un piccolo sforzo di volontà, per cambiare un mondo che potenzialmente mai è stato così vicino al bianco o al nero. Arrivederci al 1° maggio festa dei lavoratori.