La castagna è dispettosa, la castagna è capricciosa. Così cantava mio figlio insieme agli altri bambini della scuola materna di Arcidosso quando ancora abitavamo sull’Amiata, qualche anno fa. La castagna dispettosa, rinchiusa dentro il suo riccio aculeo, che non si vuole fare prendere facilmente, capricciosa, volubile. Ma se la mangi è deliziosa, recitava ancora quella canzoncina, buona, tanto buona, carnosa, saporita, che si scioglie in bocca calda e vellutata e voluttuosa.
Era la festa della castagna di 7 anni fa, quando sentii per la prima volta questo tenero ritornello tra i girotondi di bambini e maestre, eravamo sotto al tendone, in una fredda domenica autunnale, non c’era tantissima gente, le scuole organizzavano dei lieti momenti familiari, era una festa di paese con il tratto malinconico e nostalgico che porta con sé la domenica e tutte le feste sul finire, cosi come il giorno quando arriva lenta la sera mentre il cielo si fa rosso e suonano i vespri. Era una giornata di riposo, fatta per le famiglie del posto, un balsamo ai bagordi della notte precedente.
Il sabato dei leoni, dei giovani, dei duri. Ricordo la Castagna in festa come un dicotomico procedere di giorni e di ore, in cui il pomeriggio regnava un placido passeggio e la notte si scatenava l’inferno. Lo stesso paese era diviso tra due mondi, quello disteso del corso, in cui le famiglie si ritrovavano a mangiare al tendone, in cima al paese e quello proibito dei sobborghi, delle cantine con la musica a palla e fiumi di alcol lungo la Piana, in fondo al paese, la luce ed il buio, la domenica ed il sabato, il paradiso a l’inferno, una castagna molto volubile, quasi schizofrenica.
E ancor prima che diventassi mamma, aveva il suo fascino tutto ciò e lo mantiene ancora nella mia memoria, quella festa che si preparava e si aspettava come un evento quasi proibito, in cui la notte portava con sé una sorta di libertà concessa e per tutti legittimata anche per chi come me non ne aveva mai avuta.
Sono ritornata, madre due volte, nel mio paese, per vivere la mia festa, la mia castagna capricciosa, deliziosa e voluttuosa, ho trovato tanta gente tanta tantissima a tutte le ore del giorno e della notte, all’inizio del paese e in fondo alla Piana, giovani, meno giovani anche bambini che qualche anno fa trovavo al tendone a fare girotondi con le maestre o in braccio ai propri genitori, li ho trovati in quello che un tempo era il mondo off-limits, a tarda notte, tra fumi di salcicce ardenti e musica heavy metal, fieri e ben inseriti li avevo lasciati solo sette anni fa dentro maglioncini di lana colorata fatti a mano ed oggi vestiti alla moda, come copie sapienti dei propri genitori. La castagna dispettosa! Che stranezze mi ha combinato? Ho visto signore attempate, oltre l’attempato, ballare sui gradini della scalinata oltre l’orologio, già oltre la porta della città proibita, come succinte ballerine da cubo, avvolte da un magico alone di rinnovata gioventù. Niente più dicotomie, niente più dialettiche divisioni, ma un magma indistinto di gente diversa, di tutte le età scivolare dal Monumento alla Fratta, come una magica eruzione di quel vulcano ormai spento da migliaia di anni. Una rinnovata suggestione, non più il fascino dell’invisibile.
Cosa è cambiato negli ultimi sette anni? Solo la Castagna in festa, la modalità organizzativa, l’impegno profuso da un’intera comunità o anche la gente? La voglia di stare insieme, il desiderio di stringersi, la voglia di fare Festa. Sette anni fa come fossero venti ed un nugolo di secondi interminabili hanno cambiato il mondo e la festa della castagna di Arcidosso. Il bel tempo, non solo quello atmosferico, ma un tempo agognato, portatore di cambiamenti, di gioia, di musica, di felicità, la castagna capricciosa, la castagna voluttuosa. La Castagna in festa, in festa grande, simbolo di un rinnovato spirito, vestita dei colori della speranza e prosperità, l’evoluzione moderna della sua antica natura, da albero del pane a idolo.
Ho visto e vissuto il desiderio di uscire dal buio e dall’invisibile, di volare dall’ultimo quarto al plenilunio, ho visto negli occhi di molti il bisogno di sconfiggere il Nulla, come un esercito di tanti grandi e piccoli Atreio in volo sulla Storia Infinita. Questo il mio sentire, se possa far piacere ad alcuni e se vogliate aver uno scorcio diverso da cui spiare per una riflessione più ampia da poter condividere.
Rachele Ricco