La natura ha una dimensione che va al di là delle leggi naturali: è l’immagine di un dono magnifico e gratuito di cui l’uomo può godere a pieno. La bellezza della natura è sopratutto data dalla nostra capacità di meravigliarci ancora degli spettacoli che un bosco, una montagna o il mare possono offrirci. E’ data dalla nostra capacità di metterci in silenzio ed ascoltare e guardare con gli occhi dell’anima ciò che la natura ci comunica. Immersi in questo spettacolo senza tempo, la natura ci meraviglia continuamente con storie e leggende misteriose in grado di proiettare l’uomo in un universo bucolico: sono queste storie che ci permettono di ricostruire l’origine, reale o fantastica, delle nostre terre; sono storie affascinanti che meritano di essere conosciute. Una di queste storie si insinua tra la brezza delle distese erbose del Prato della Contessa e porta quel profumo tipico e genuino dell’amore. I protagonisti sono due giovani: Gherarda degli Aldobrandeschi, contessa di Cana, e Adalberto, feudatario di Chiusi. I personaggi di questa splendida e tormentata storia d’amore sono in realtà veramente esistiti: la contessina Gherarda è probabilmente Anastasia degli Aldobrandeschi, contessa di Cana, andata in sposa al conte Orsini della contea di Sovana e Pitigliano; del ragazzo invece si hanno due opposte versioni che lo vedono discendente da una parte dai conti che in quel periodo governavano Chiusi, dall’altra invece si dice fosse figlio di uno stalliere di Sarteano. In ogni caso è qui che la storia comincia.
Tanti anni fa il Monte Amiata era un fitto bosco di faggi, abeti, castagni e cespugli: c’erano solo dei viottoli percorsi dagli animali selvatici che animavano con consuetudine la zona avvolta da una natura portentosa. Un giorno però qualcosa cambiò e apparve nel fitto bosco della montagna un grande prato, circondato da enormi e secolari faggi e da maestose e profumate abetaie: tutto questo in onore di un amore potentissimo. Come tutte le storie più affascinanti e coinvolgenti è necessario, prima di iniziare, fare un balzo indietro nel tempo: arriviamo così, con un volo magico, ad un giorno lontano dell’anno 650, quando Rachis, re dei Longobardi, durante una cacciata nei boschi, ebbe una suggestiva visione e sentì una voce che gli ordinava di fondare un’abbazia che avrebbe custodito preziose ricchezze e sarebbe stata portatrice della voce benedettina. E così fu: Rachis fondò l’abbazia di San Salvatore del Monte Amiata, che darà il nome alla località montana di Abbadia San Salvatore. Ed è da queste premesse che prende le sue mosse la storia d’amore che stiamo per raccontare.
Gherarda era contessa di Cana e fin da bambina ebbe una certa familiarità con i monaci dell’Abbazia, i quali da sempre si mostravano assolutamente ben disposti nei suoi confronti tanto da donarle ben dodici stanze della loro dimora; una di queste attraverso una scaletta privata accedeva al piccolo cortiletto nel quale si trovava il pozzo di Rachis e dove era presente anche una cappella dove la contessina era solita ascoltare la messa o pregare in solitudine; il resto del tempo lo passava tra le feste e i tornei o, per lunghi periodi, chiusa tra le mura del castello ad intrattenersi in attività che reputava piuttosto noiose. E fu proprio durante uno dei tornei a cui era solita partecipare che la nostra storia prese una piega interessante: Gherarda conobbe Abalberto, piccolo feudatario di Chiusi, il quale rimase subito così tanto incantato dalla bellezza della contessa che se ne innamorò, rimanendo però chiuso nella sua estrema riservatezza. Gherarda, al contrario, non era affatto timida e si mise in moto, con tutta la sua astuzia femminile, per trovare tutti i mezzi e tutte le occasioni che le consentissero di rivedere l’amato: organizzò feste e tornei cercando un luogo che fosse al tempo stesso adatto sia alle imprese cavalleresche sia agli incontri romantici per rivedere il suo amato. Un giorno, cavalcando per i boschi, fu colpita da una piccola radura in mezzo a una faggeta ed ebbe un’illuminazione: era il luogo perfetto. Con la complicità dei fedeli servi, lavorarono per giorni, disboscando e allargando la radura fino a farne un grande prato circondato da faggi secolari: i servi crearono due sentieri immersi nella fitta boscaglia circostante da dove, separati potevano giungere i due innamorati senza essere visti. Ecco dunque che nacque, un po’ per caso, un po’ per amore, il Prato della Contessa, destinato ad essere testimone di una grande storia d’amore.
A lungo e per molte notti i due amanti si incontrarono, sotto l’occhio vigile della luna e chiusi nell’abbraccio della natura, ma le storie belle, ormai si sa, sono anche quelle più tormentate. E così accadde, purtroppo, anche questa volta. La contessa, infatti, era destinata a sposare Orsino, conte di Pitigliano, poiché l’alleanza con la guelfa potente famiglia pitiglianese ben si confaceva alle ambizioni della famiglia canese: fu così che una sera Gherarda non si presentò più e Adalberto si disperò cercando invano qualsiasi modo per togliersi la vita, tanto era il dolore per la perdita della sua contessa e allora, oramai rassegnato, ebbe un’idea: si sarebbe rinchiuso nell’Abbazia di San Salvatore, dove sicuramente avrebbe rivisto la sua amata. Pare infatti che Orsino, non volendo togliere alla sposa le sue abitudini, le consentisse di recarsi al convento una volta all’anno e di sostare per tutto il mese di settembre nelle sue dodici stanze per pregare, senza sapere che, in segreto, ciò le consentiva di rivedere Adalberto. Le cose in realtà non andarono come il pubblico si aspetterebbe: la storia narra infatti che per non cadere in tentazione, Gherarda donò all’amato una preziosa Bibbia del VII secolo e un calice dorato, con il suo nome scolpito sopra, per non essere dimenticata. Da allora Gherarda, divenuta ormai contessa di Pitigliano, fu sposa e madre virtuosa, mentre il frate Adalberto, partì per la Terra Santa e nessuno seppe più niente di lui. Verosimilmente la storia di ciò che successe dopo il matrimonio appare annebbiata dal peso degli anni tant’è infatti che ne esistono versioni molteplici.
Un’altra storia infatti ci racconta dell’immenso potere dell’amore davanti all’odio e alla vendetta. Si racconta infatti che in seguito al matrimonio i due amanti continuarono comunque a vedersi di nascosto e così, sospettoso, il Conte Orsino, iniziò a far seguire la moglie: fu così che una sera la sua uscita fu purtroppo notata da una spia che non esitò ad informare il suo signore, e questi decise di vendicarsi. Così, una notte, il Conte insieme ai suoi fedeli si appostò tra gli alberi e aspettò che gli amanti si incontrassero sotto la loro pianta; a quel punto Orsino dette il segnale e appiccarono il fuoco alla boscaglia: le fiamme dilagarono rapidamente, bruciando gran parte del bosco. Il fuoco divampò ben presto e il Conte Orsino si rifugiò in una casa di caccia, in attesa qualcuno venisse ad annunciargli la morte della contessa; nessuno però parlava dell’incendio e nessuno avvertì mai il Conte della morte della Contessa. Orsino, quindi decise di tornare al suo castello e qui, sorprendentemente, trovò Gherarda in compagnia delle sue ancelle intenta alle sue abituali faccende. Il Conte, incredulo, qualche giorno dopo, tornò sul monte Amiata e qui trovò, un luogo pieno di cenere e distrutto dal fuoco. Con enorme stupore, però, al centro di quella desolazione, svettava un grande albero: il “Faggio delle contessa”, sotto al quale erano soliti riunirsi i due amanti a scambiarsi dolci effusioni, che si alzava in tutto il suo verdeggiante splendore non piegato dal fuoco. Orsino tornò al suo palazzo, ma mai si dette pace del disonore e in breve tempo morì. La Contessa Gherarda degli Aldobrandeschi, volle ritornare nei luoghi dell’incendio e dette ordine che nessun albero venisse ripiantato in quel luogo ma che, invece, un grande prato venisse lasciato intorno al suo faggio.
La leggenda narra che ancora oggi, in certe notti speciali, si possa incontrare nel Prato della Contessa l’ombra di Gherarda che passeggia nell’oscurità e, dicono alcuni, con lei si vede camminare un bellissimo giovane che la tiene per mano e la conduce presso il faggio. Ma indipendentemente dalle versioni è ancora sorprendente la magia, il fascino e la bellezza della nostra montagna, dei suoi boschi incantati e dei paesaggi mozzafiato.