Nell’opera pittorica che qui presentiamo è rappresentato il tema iconografico della Natività di Giovanni Battista che si trova custodita nella navata centrale, parete sinistra, della Chiesa di San Leonardo ubicata nel Rione “Codaccio” di Arcidosso (Grosseto).
La tela, centinata, ha al centro della composizione due figure femminili mentre fanno il bagno al neonato Giovanni, il Precursore di Cristo. Quella a sinistra tiene nelle braccia il bambino ed è forse Maria, come racconta la Leggenda aurea, cugina di Elisabetta, che sarà la Madre di Gesù, e l’altra, versa l’acqua nel catino mentre due Angeli sono sistemati uno dietro alle due donne e l’altro davanti, reggente il panno che servirà ad asciugare il piccolo.
In fondo, Elisabetta, la puerpera, è semisdraiata sul letto mentre una donna le porge una tazza di brodo come voleva la tradizione che alle partorienti venisse somministrato un pasto leggero, particolarmente un brodino, possibilmente di piccione, così come era in uso, ancora qualche tempo fa, in alcune regioni italiane dell’Italia meridionale. Nel letto, su una piccola tavola apparecchiata con una tovaglia bianca, è sistemata una ciotola.
A destra in alto, all’interno di un ambiente illuminato, s’intravede Zaccaria, marito di Elisabetta e padre del bambino, rappresentato nell’atto di scrivere il nome che verrà imposto al figlio, non potendo comunicarlo a voce in quanto aveva perso temporaneamente la parola. Sul supporto bianco si legge, in latino, la seguente frase. “Joannes est no[men]”. Si voleva chiamare il bambino Zaccaria, come il padre, ma Elisabetta non volle e insistette perché lo si chiamasse Giovanni. Interpellato, Zaccaria, chiese una tavoletta e vi scrisse sopra: «Giovanni è il suo nome», poiché così gli era stato detto dall’angelo. Da quel momento poté di nuovo parlare: “Quando il bambino ebbe otto giorni vennero per il rito della circoncisione. Lo volevano chiamare Zaccaria, che era anche il nome di suo padre. Ma intervenne la madre: No! – disse. – Il suo nome sarà Giovanni. Gli altri le dissero: Nessuno tra i tuoi parenti ha questo nome! Si rivolsero allora con i gesti al padre, per sapere quale doveva essere, secondo lui, il nome del bambino. Zaccaria chiese allora una tavoletta e scrisse: «Il suo nome è Giovanni». Tutti rimasero meravigliati. In quel medesimo istante Zaccaria aprì la bocca e riuscì di nuovo a parlare, e subito si mise a lodare Dio”. (Luca, 1, 59-64).
Le scene del letto e di Zaccaria sono separate da un tendaggio verde che ricade con un articolato gioco di pieghe. Ma la presenza di due personaggi sconosciuti, rappresentati a mezza figura agli angoli opposti inferiori, ci induce ad uno studio appropriato per una sicura identificazione. Essi non partecipano alla vita degli altri personaggi dipinti nell’opera e, per questo, non rendono, con la loro presenza, omogenea la composizione nella quale vivono. Sono, come scritto nella didascalia della Soprintendenza anni fa, San Rocco, a sinistra, riconoscibile dal bastone del pellegrino e dalla conchiglia appuntata sul petto e San Maurizio che tiene con la mano destra una palma. Il primo fu un santo che percorse l’Europa dedicandosi alla cura degli appestati; il secondo, leggendario santo guerriero, comandante della Legione Tebana composta da truppe romane stanziate a Tebe, in Egitto, che prestarono servizio ad Agaunum in Gallia (Saint-Maurice en Valais) nel III secolo, giustiziato nel 287. È più probabile però che si tratti di altri due santi. Uno, San Giacomo il Maggiore, apostolo, fratello di Giovanni Evangelista e figlio di Zebedeo, già pescatore in Galilea. Una leggenda medievale racconta che Giacomo si recò come missionario in Spagna dove morì e fu sepolto a Compostela, località divenuta uno dei luoghi di pellegrinaggio cristiani più frequentati che ha come attributo, tra gli altri, il bastone del viandante (bordone) a volte con un sacchetto o una borraccia appesa ad un gancio metallico, e la conchiglia sul petto.
L’altro, San Cristoforo che ha, quale elemento di riconoscimento un bastone di palma; uno dei santi patroni dei viandanti. È da supporre quindi che questi due personaggi siano legati a motivi rappresentativi che hanno a che fare con i pellegrini e non a temi da ricondurre alle pestilenze. Il riconoscimento di San Cristoforo, nella figura di destra, è avvalorato dal fatto che Maurizio viene generalmente rappresentato di carnagione scura (moro) e sbarbato, iconografia che qui non ha rispondenza in quanto il personaggio è provvisto di una folta barba e chiaro di carnagione. Inoltre si sottolinea che San Cristoforo è considerato il protettore dei viandanti; la presenza contemporanea dei due nella composizione, quindi, potrebbe giustificare l’ipotesi qui formulata che appare, così, verosimile. Ma perché regge un ramo di palma e non un bastone comune? A Cristoforo, un eremita, suggerì che, data la sua statura gigantesca e la sua forza fisica, di stabilirsi sulla riva di un fiume vicino per aiutare i viandanti ad attraversarlo portandoli sulle sue spalle. Cristoforo vi si recò, vi costruì una capanna, e vi si stabilì: “Dopo alcuni giorni, mentre si riposava nella capanna, udì una voce infantile che gridava: «Cristoforo vieni fuori e portami al di là del fiume.» Cristoforo uscì fuori ma non trovò nessuno; ma non appena fu ritornato nella capanna di nuovo udì la medesima voce; di nuovo corse fuori e non trovò nessuno. Chiamato per la terza volta, corse fuori dalla capanna e trovò un fanciullo sulla riva del fiume che lo pregò di trasportarlo dall’altra parte. Cristoforo si prese il bambino sulle spalle ed entrò nel fiume appoggiandosi al bastone: ma ecco che l’acqua incominciò a gonfiare e il fanciullo a pesare come piombo; quanto più Cristoforo si inoltrava nel fiume, tanto più la corrente diventava minacciosa e il fanciullo pesava sulle sue spalle cosicché Cristoforo cominciò a temere di essere in estremo pericolo. Quando, alfine, fu arrivato sull’altra sponda ed ebbe deposto a terra il fanciullo gli disse: «Bambino, mi hai messo in gran pericolo perché il tuo peso era tanto grande che mi pareva di portare sulle spalle il mondo intero.» Rispose il fanciullo: «Non ti meravigliare Cristoforo, perché hai portato sulle spalle non solo il mondo intero ma anche colui che l’ha creato: io sono Cristo re al cui servizio ti sei posto. […] quando avrai di nuovo varcato il fiume pianta il bastone vicino alla tua capanna e domattina lo troverai fiorito e carico di frutti». […] Cristoforo piantò in terra il bastone e la mattina dopo lo trovò fronzuto a guisa di palma e carico di datteri. (Jacopo da Varagine, Leggenda aurea).
Le figure sono rappresentate nei costumi dell’epoca in cui il dipinto è stato eseguito e rivelano un impianto plastico consistente, memore delle forme del tardo manierismo fiorentino. I colori prevalenti sono il verde e il rosso che s’impongono sul fondo scuro. La composizione, di buona fattura, evidenzia un certo contrasto tra la parte alta caratterizzata da una marcata stabilità data dall’orizzontalità del letto, dalla verticalità del busto di Elisabetta e della linea della tenda, mentre, la parte centrale con le figure in primo piano, è racchiusa entro uno schema geometrico formato, sostanzialmente, da linee curve. L’autore è Francesco Canini, un pittore eclettico che dimostra di avere una buona conoscenza della pittura dell’epoca nel territorio:
Lo storico dell’arte Marco Ciampolini ci ha suggerito che quel pittore Francesco è da individuare in Francesco Canini nato a Radicofani nel 1580 e morto a Sinalunga nel 1643 […]. Da parte nostra vorremmo osservare [e ancora Marco Ciampolini conforta la nostra annotazione] che in Arcidosso c’è, in effetti, da riferire a Francesco Canini la vasta e bella tela che è nella chiesa di San Leonardo, nella quale è raffigurata la nascita del Battista, di cui abbiamo potuto appurare che l’autore la stava “pingendo” il 13 ottobre 1621, per l’altare di San Giovanni della chiesa di Sant’Andrea, oggi scomparso. (Salvatore Di Salvo, Amiata Storia e Territorio n° 65-66, Dicembre 2011).
E ancora così si scrive a supporto di quanto detto a proposito dell’attribuzione al Canini dell’opera con fondate motivazioni stilistiche e tecniche:
Sull’altare oggi non c’è una tela settecentesca ma dei primi decenni del Seicento con rimandi, addirittura cinquecenteschi. Ecco che ci pare più che plausibile l’ipotesi che la tela sia quella che si stava dipingendo nel 1621 per l’altare omonimo della chiesa di Sant’Andrea. Secondo Marco Ciampolini l’autore è Francesco Canini (1580 -1643), che «dopo la sua formazione a Siena nell’ultimo decennio del Cinquecento, a contatto prima con il Casolani, poi con il Salimbeni fu operante sull’Amiata dipingendo opere ancora ancorate a concepire composizioni e personaggi secondo schemi di primo Cinquecento e tale tendenza, che resterà costante nella sua carriera, incalza Marco Ciampolini, ha l’esempio più significativo nella Nascita del Battista in San Leonardo ad Arcidosso […]. Qui i tratti sono taglienti, i panneggi spezzati, la prospettiva rampante, solo il modo di stendere i colori rivela i suoi tempi». (Salvarore Di Salvo, Novità Storico-Artistiche sulle Chiese di Arcidosso, in Le chiese di Arcidosso e la Pieve di Lamula, pp. 50-51)-
Giombattista Corallo