Il giuggiolo (Zizyphus jujuba Mill.) è un albero da frutto proveniente dalla Cina ma coltivato anche in Italia per il frutto che assomiglia a una oliva di colore marrone che, se giovane, ha il sapore della mela e che a maturità assume una forma grinzosa e un sapore più simile a quello delle nespole.
La pianta prospera in climi caldi ma tollera bene il freddo, ha un fusto contorto e scuro e raggiunge una altezza che varia dai quattro agli otto metri.
Furono i Romani ad introdurlo ma è solo a partire dal Rinascimento che le giuggiole si lavorano per otteneva una bevanda usata per curare la tosse; La preparazione di pasticche realizzate con il decotto è stato in uso fino a poche decine di anni fa.
Più che per le sue proprietà curative il nome del frutto è entrata nei simbolismi della nostra lingua con significati diversi: “giuggiola/e è termine usato con significato di poca cosa, inezia,.. il termine “giuggiolone” veniva usato per connotare una persona bonaria ma di poco cervello mentre ” giuggiolino” si usava per definire un bambino grassottello, in salute, simpatico.
L’espressione che tutti conosciamo “andare in brodo di giuggiole” deriverebbe da una ricetta con la quali si realizzava un prodotto che era una via di mezzo tra una bevanda e una marmellata gradevolissima. Gli ingredienti oltre alle giuggiole fatte avvizzire all’aria aperta per qualche giorno, sono l’acqua di cottura e zucchero in peso uguale alle giuggiole. A fine cottura si aggiunge in piccole dosi un litro di vino che fatto evaporare lentamente fino ad ottenere una confettura abbastanza densa da consumersi fredda il brodo di giuggiole appuno.