Per quando uno si sentiva male e c’era bisogno di aiuto, parlo di quello vero, di quello serio, dove non arrivavano i genitori o i nonni era segno che ci voleva il dottore.
Il dottore era allora il Medico Condotto oggi diventato – credo – Medico di Famiglia. Se nella notte non gli avranno cambiato dizione.
Anzi era il Signor Dottore. In tutti i sensi. Perché intanto tutti si rivolgevano a lui così, e poi perché erano un po’ diversi da quelli di oggi.
Il primo con il quale ho avuto rapporti da ragazzo è stato il Dottor Paro Vidolin che era il medico preferito dalla mi nonna Stella e dal mi nonno Cecco. Aveva lo studio in via Oberdan a Grosseto e quindi dovevamo prendere il treno per andare a farsi visitare.
Di corporatura importante, con il suo enorme camice bianco, la sua elegante pelata, gli occhiali senza montatura si rivolgeva ai pazienti con una voce calda e profonda. Ma sopratutto era il tono quello che ti metteva a tuo agio. Ricordo che si permetteva di dire alla mi nonna – ma con un garbo difficile perfino da spiegare: “cos’hai cara, dimmi……” Penso che un’espressione così la mi nonna la permettesse solo a lui, forse nemmeno al mi nonno.
E allora uno iniziava a dirgli tutti i sintomi che aveva, poi cominciava lui a fare delle domande sempre più precise e incalzanti, e poi si arrivava, dopo un bel po’ alla fatidica frase: “su ora vediamo un po’……..” e ti diceva di sbottonarti la camicia, tirarti su la canottiera, insomma quello che serviva.
In un silenzio di tomba potevi udire i colpetti che dava sulla schiena per poi “auscultare” con quel buffo tromboncino di legno.
E poi insomma tutta la visita secondo cosa e come era necessario al caso.
Quando arrivava alla fine poteva richiedere di fare degli esami, ma si sbilanciava anche nel dire: per quello che ho capito io credo che…….” E poi c’era la prescrizione di esami e i medicinali necessari.
Non creava illusioni, ma diceva anche le cose meno piacevoli con garbo e molta umanità.
Ricordo una delle ultime volte che mia nonna gli chiese cosa poteva fare per i dolori che la martoriavano e lui con rassegnazione quasi come in uno sfogo disse: “cara, credi che se fossi buono a guarire i dolori non l’avrei fatto con quella poverina di mia moglie che si lamenta tutta la notte?”
A me colpì molto questa risposta perché era la prima volta che sentivo un dottore dichiararsi impotente di fronte ad un problema che per me all’epoca pareva banale. Ma allo stesso tempo anche tanta amarezza per ricordare i limiti che ognuno ha nel suo mestiere, pur così nobile e importante.
L’altro dottore che ho avuto nell’infanzia e nell’adolescenza è stato il dottor Mario Nisi a Braccagni.
Anche lui era un uomo gentile e disponibile. Si poteva andare nel suo ambulatorio ma poteva venire anche a visitarti a casa con una certa facilità quando c’era bisogno. In quei casi era d’obbligo preparargli una bacinella smaltata per lavarsi le mani con l’acqua calda e li vicino un asciugamani, possibilmente di lino al naturale. Questo non si faceva solo per lui, si faceva per ogni dottore che fosse venuto a casa tua per una visita. Per molto tempo mi sono chiesto perché non fosse andato nel lavandino del bagno a lavarsi le mani. Poi ho scoperto che nei tempi andati il bagno proprio non c’era, l’acqua corrente nemmeno, e quindi né calda né fredda. Ora c’è il bagno, c’è l’acqua fredda e l’acqua calda, ma i dottori le mani un se le lava più nessuno.
Nel suo ambulatorio mi ha ricucito almeno un paio di volte. Una volta con quell’aghino ricurvo mi ha ricucito sotto la bazza che mi ero tagliato cadendo dalla soffitta e atterrando appunto di bazza!. L’ambulatorio era in quei tempi proprio nella casa che poi avrei acquistato e dove ho vissuto con la mia famiglia. Era bravo, risoluto nel cucire, ma non violento. L’altra cosa bella che ricordo di lui era quando veniva a visitare le mi figliole per l’influenza. Erano i primi tempi che le medicine venivano passate in tutto o in parte dalla mutua e quindi c’era una vera e propria corsa a farsele segnare Una volta dopo la visita per un’influenza stava dicendo le solite frasi d’uso, le attenzioni, i soliti medicinali. Io allora gli chiesi: scusi dottore, ma se fossero le sue nipoti che gli darebbe lei? Io? Io gli darei delle belle spremute di arance e via! Allora lo faccio anch’io! Certo, se vuoi, non c’è necessità di fare di più, poi attenti al freddo, e bla bla bla. Insomma non era uno che dava antibiotici a richiesta come succedeva a quei tempi. Io poi mi fidavo di lui e del fatto che le su nipoti erano amiche delle mi figliole.
Un’altra cosa che faceva tenerezza era quando si faceva la visita per il rinnovo della patente, finché si trattava di verificare la vista era facile: si doveva leggere il famoso cartello con le lettere da quelle grandi a quelle più piccole, ed il gioco era fatto. Poi inevitabilmente – tutte le volte – si girava si metteva la mano un po’ davanti alla bocca e sottovoce borbottava: “a che ti serve questa visita?” Io la prima volta gli dissi: pe la patente dottore, glielo avevo già detto! E lui: si ma ora ti dovevo provare l’udito! La prima volta pensai: guarda che astuto il nostro dottore. Poi quando ebbi di nuovo bisogno mi accorsi che faceva la stessa scena e soprattutto faceva la stessa domanda e allora feci degli sforzi tremendi per non scoppiare a ridere.
E ora vengo a quel dottore che più mi ha spinto a scrivere. Mi riferisco al Prof. Eraldo Camarri primario all’Ospedale, ma con anche con suo studio privato in Grosseto.
La prima visita avuta con lui fu nel 1970 quando mia moglie rimase incinta. Aveva dei problemi e si decise di fare la visita da lui. L’approccio fu del tutto simile allo stile “Paro Vidolin”. Con un tratto gentile, disponibile, franco e spontaneo, si vedeva che era il suo stile e non una sua rappresentazione. Stessa tecnica di farti parlare, poi di farti molte domande e con gli occhi che ogni tanto sembravano trasognati stava evidentemente già riflettendo sulla possibile diagnosi.
Fece la sua brava visita e poi ci parlò dicendoci che prescriveva di fare dei raggi perché probabilmente mia moglie aveva dei calcoli alla cistefelia. Con quest’esami si sarebbe arrivati a capire se era così e soprattutto se si trattava di un solo calcolo o più piccoli calcoli, come lui pensava. Ci disse poi le possibilità sia mediche che chirurgiche, le nuove possibilità di “bombardare” i calcoli, e via si seguito. Poi i vantaggi e i rischi dell’operazione e le possibilità di una cura medica. Per la cronaca mia moglie ha sempre con se la sua cistefelia bella piena di piccoli granellini grandi come chicchi di riso. Pare ci si sia affezionata.
Dopo tutta questa tiritera fece una cosa per la quale rimasi allora allibito e sorpreso. Cosa che ricordo ancora oggi come una cosa non usuale ma che io apprezzai in maniera particolare, per mille motivi. Che cosa fece?
Scrisse la diagnosi, la richiesta di analisi, la cura prescritta, i dosaggi e i modi di assunzione dei medicinali. E dov’è la cosa straordinaria? La cosa straordinaria è che si mise a sedere e scrisse tutto ciò con la sua piccola macchina da scrivere, una Olivetti Lettera 22!
Queste cose così semplici, così giuste, così rispettose del prossimo a me mi mandano in orbita.
È proverbiale l’illeggibilità dello scritto dei dottori, fino a pensare che lo facciano un po’ anche apposta per gigioneria o per darsi più importanza. A uno che chiesi come mai i dottori scrivessero tutti male mi rispose che così succedeva perché erano costretti a prendere veloci appunti all’università!!!
Io non ho mai creduto a questa spiegazione.
Ogni tanto ripenso a quell’abitudine così bella del Prof. Camarri e ricordo pure che non mi è mai più capitata nella vita. O quasi.
Ad onor del vero il Prof. Mauro Ferrari, conosciuto primario di Chirurgia Vascolare a Cisanello che mi ha strapazzato a suo tempo con una piccola operazione da 12 ore in sala operatoria, oltre ad aver fatto un lavoro niente male – 18 anni fa e sono ancora qua – , mi ha dato la sua e-mail, il telefono del reparto e il suo personale cellulare. Il tutto con l’autorizzazione a chiamarlo o a scrivergli quando e se ne avessi necessità.
Non ho mai utilizzato il suo numero di cellulare, ma qualche domanda e qualche consiglio via e-mail gliel’ho fatta. Nel giro massimo di mezz’ora o in giornata ho sempre avuto la risposta. Insomma per me è stato un aggiornamento dello stile del Prof Camarri. Forse anche qualcosina in più.
Ora verrebbe da dire, si ma i medici di una volta……vuoi mettere?
Ho un amico fraterno medico che mi ha autorizzato a chiamarlo di notte e di giorno, di sabato e di domenica, cioè nei momenti in cui se hai urgente e reale bisogno di un medico, ti serve soprattutto un medico-amico che ti dia fiato per respirare e ti aiuti a prendere delle decisioni nei momenti di vera difficoltà, quando non sai a chi chiedere consiglio. Qui lo voglio ringraziare pubblicante: grazie Massimo Magnanelli!
Spesso quando rifletto sulla mia vita e racconto le cose mie mi viene da dire che mi sento un sopravvissuto. Ed è vero. E ringrazio il buon Dio che ha voluto così. Certo però che se non avessi incontrato quei dottori la, col cavolo che ora ero qui a raccontare queste le storie.
Purtroppo e per varie ragioni è proprio così. Non è tutta colpa dei medici di oggi, ma forse del mondo che è cambiato – in peggio – e nel qualunquismo e faciloneria che prende un po’ tutti. Certo è che fra i colpevoli io metterei i pazienti all’ultimo posto.