Si sta avvicinando a grandi passi la SS Pasqua e proprio qualche giorno fa, cinque o sette giorni dopo il Mercoledì delle Ceneri, i semi di Veccia, venivano ed ancora oggi in molti paesi vengono sotterrati dalle donne, addette alla loro coltivazione, per la preparazione del Santo Sepolcro, in dei contenitori appositi e posti in un ambiente buio come le cantine. Dovevano essere innaffiati una volta a settimana, e piano piano iniziava a germogliare una piantina filiforme, con steli ricadenti e sottili, proprio per la mancanza di illuminazione. La veccia è una pianta molto comune ed è legata fortemente alla Pasqua per gli addobbi delle chiese il giorno del Giovedì Santo. Il mondo contadino è ricco di storie, aneddoti, e tradizioni che oggi stanno godendo di una nuova vita. Molte motivazioni ci spingono con rinnovata attenzione e coinvolgimento verso la ricerca di episodi di un tempo fatto di esperienza tramandata, un profondo affetto legato alle storie dei nostri nonni e un’ammirazione per una vita semplice e scandita dalle fasi solari e dalle stagioni. I soldi erano pochi, gli agi ancora meno, il gelo e le carestie erano i peggiori nemici dai quali bisognava difenderci, eppure la devozione religiosa, la famiglia e un pizzico di superstizione, facevano sì che niente fosse lasciato al caso. Con l’arte dell’arrangiarsi si poteva provvedere a qualsiasi necessità e lo spirito di iniziativa era il più grande stimolo. Tutte le donne del paese, quindi, facevano germogliare piantine di veccia ma era cura del parroco scegliere quelle più belle e adatte ad essere mese in mostra e i vasi venivano sistemati in gruppi a formare dei rigogliosi cespugli ricadenti. La Veccia poteva essere accompagnata da mazzetti di viole e primule, anch’esse abbondanti nei nostri boschi e molto sceniche per i loro colori. Era ed è consuetudine, la sera del Giovedì Santo, dopo la rievocazione dell’ultima cena, che le campane fossero legate, mute, in segno di partecipazione dell’intera comunità al grande dolore della Chiesa per la Passione di Gesù Cristo. Da questo momento in paese e nelle campagne si respirava un’atmosfera di attesa in un silenzio veramente irreale.
Il Venerdì di Pasqua, mentre in chiesa si spogliano gli altari, per annunciare i vari momenti della giornata si rompeva il silenzio agitando Il crotalo o crepitacolo o raganella o idiofono, volgarmente detto anche tric-trac, che dava un suono lugubre ed ingrato, particolarmente adatto alle liturgie penitenziali, uno strumento molto rumoroso e divertente per i ragazzi che rincorrendosi lo agitavano per i vicoli e i chiassi del paese producendo un suono e un crepitio assordante per richiamare i fedeli alle funzioni religiose. Questi strumenti di legno venivano costruiti artigianalmente dai falegnami del paese, oltre che semplici, con una sola linguella, potevano essere anche bitonali o tritonali, (due o tre linguelle) e in questo periodo si sostituivano al suono delle campane. Per ottenere indulgenze o altri benefici, infine, per i fedeli, era usanza e norma comune fare “il giro delle sette chiese”, visitando sette Sepolcri e pregando, ma chi non avesse trovato sette chiese vicine da visitare, doveva entrare e uscire sette volte dalla stessa Chiesa. Oggi è rimasto solo il detto “fare il giro delle sette chiese”, che deriva proprio da questa consuetudine e tradizione, e cioè, quando una persona si dilunga oltre il dovuto per fare qualcosa.