Sembra proprio di sentire le dolci note degli strumenti dei due angeli musicanti e del coro diretti dal più grande dei maestri d’orchestra: il Padre Eterno, rappresentato come un vecchio, barbuto e con capelli lunghi mentre dall’alto guida i due suonatori: uno, probabilmente, di viola da spalla, strumento ad arco da cui deriva tutta la famiglia dei violini, l’altro di liuto, anzi, di arciliuto o chitarrone, a corde, con cassa a fondo panciuto e con tre fori circolari di risonanza disposti a triangolo, che si suona pizzicando le corde con le dita o con un plettro; due strumenti di origine medioevale che anno avuto uno sviluppo importante nelle epoche successive, e il coro di Angioletti che stanno intorno a Lui, posti sopra cuscini di nuvole. Un vero, significativo, momento di festa. Ed è soprattutto in questa parte del quadro che l’artista applica quella visione spaziale in cui la moltitudine delle forme sembra “sfondare” il cielo con un movimento ascensionale tipico della rappresentazione prospettica dell’età barocca. È chiaro, però, che non si tratta di un vero concerto anche se la musica ci pare di sentirla davvero, ma di una scena raffigurata nel registro alto di un quadro del Seicento che si trova collocato sopra l’altare della piccola chiesa di San Giuseppe a Castel del Piano (Grosseto).
La tela è opera di Francesco Nasini (Piancastagnaio, 1611 – Casteldelpiano, 1695) figlio di Giacomo il capostipite della famiglia omonima di artisti amiatini, eseguita nel 1664, come indica la scritta apposta dall’autore nella parte bassa a destra della tela: “A.D. 1664 FRANCISCUS DE NASINI PINGEBAT”.
Vi è rappresentato Lo Sposalizio della Vergine, un tema iconografico che ha permesso, ad alcuni grandi artisti, di creare opere di assoluto valore, in un arco di tempo che ha avuto inizio nel Rinascimento e che si è protratto per tutto il Seicento e il secolo successivo. Si veda, per esempio, l’opera di Pietro Perugino, sullo stesso tema, del 1500-1504, conservata a Caen (Francia), Musée des Beaux-Arts e di Raffaello Sanzio del 1504, custodita a Milano, Pinacoteca di Brera, due quadri di rilevante importanza nel panorama artistico delle Scuole pittoriche rinascimentali dell’Italia Centrale.
Le nozze di Maria con Giuseppe, sebbene non siano menzionate nei Vangeli canonici, costituiscono un tema consueto nell’arte cristiana e una importante fonte d’ispirazione per gli artisti. La vicenda narra che Giuseppe fu scelto fra altri pretendenti in base ad un segno divino: la miracolosa fioritura della sua verga: “Anche Giuseppe, gettata l’ascia, uscì per unirsi agli altri; e riunitisi si recarono al cospetto del sommo sacerdote, portando i bastoni. Costui, presi i bastoni di tutti, entrò nel santuario e pregò. Poi, terminata la preghiera, raccolse di nuovo i bastoni, uscì fuori e li restituì loro: ma non apparve su di essi alcun segno. Ma l’ultimo bastone lo prese Giuseppe, ed ecco una colomba uscì dal bastone e volò sul capo di Giuseppe: «Tu sei stato prescelto a ricevere la vergine del Signore in tua custodia!».”(Protovangelo di Giacomo, IX, 1). Testimoni del miracolo sono le sette vergini compagne di Maria durante la sua educazione nel Tempio.
La narrazione dell’episodio si trova anche nella Legenda aurea scritta da Jacopo da Varagine nel XIII secolo: “C’era fra gli altri celibi, Giuseppe; ma questi fu il solo a non portare la bacchetta perché pensava che non fosse conveniente a un uomo in età avanzata sposare una fanciulla di quattordici anni […] e Dio rispose che sarebbe fiorita la bacchetta di colui che non l’aveva presentata: allora Giuseppe la depose sull’altare e subito la verga si ricoprì di fiori e una colomba vi si posò sopra. Poiché chiaramente si era in tal modo rivelata la volontà di Dio, Giuseppe si fidanzò con la Vergine, poi ritornò a Bethlem per preparare il necessario per le nozze”.
Nella parte inferiore vi sono rappresentati i personaggi principali: Maria che, inginocchiata, porge la mano destra a Giuseppe per ricevere l’anello nuziale, simbolo dell’unione matrimoniale. Lo sposo, anch’egli inginocchiato, anziano e barbuto secondo la tradizione iconografica, regge con la mano sinistra il bastone. Tra le due figure è rappresentato il Sommo Sacerdote, riconoscibile anche dal caratteristico copricapo bicuspidato, che celebra il matrimonio e che poggia la sua mano destra sulla spalla di Giuseppe.
Ai lati si trovano alcune donne, probabilmente le sette compagne di Maria e una, in primo piano sulla destra rispetto alle altre che può essere identificata con Anna, la madre della sposa.
In alto, in posizione centrale, Dio Padre, posto sopra le nuvole, sovrasta la colomba che rappresenta, simbolicamente, lo Spirito Santo circondata da Cherubini. Sullo sfondo s’intravede l’abside di un tempio all’interno del quale si svolge la scena, dove è sistemato un altare con alcune candele accese.
La composizione, compresa in un rettangolo di cm 255×162, dipinta ad olio, si presenta stabile per la disposizione equilibrata degli elementi che la costituiscono; una struttura simmetrica che accentua il senso di ordine dell’insieme pittorico.
Le figure sono costruite con un segno deciso, con un marcato chiaroscuro che, talvolta, assume un aspetto rigido, legnoso, derivato sicuramente dalla Bottega senese di Rutilio Manetti (Siena, 1571 – ivi, 1639), (si vedano i panneggi), messe in evidenza anche da un rilevante gioco di luce che rivela un interessato sguardo di Francesco verso l’opera di Bernardino Mei (Siena, 1612 – Roma, 1676) che si esprime, però, con forme più elastiche e una maggiore varietà cromatica; un’aderenza strettissima ai dettami formali dell’arte barocca. Il colore del Nasini, infatti, non è così ricco ma tende, decisamente, verso il monocromo con delle campiture strategiche di rosso nel manto dell’Eterno e del piviale del Gran Sacerdote, il giallo-ocra nel mantello di Giuseppe e della cassa armonica del liuto, il blu del cielo da cui fuoriesce la Colomba. Così si scrive:
Senza abbandonare le brumose tonalità della giovanile tavolozza di Bernardino, Francesco tenta, non sempre con successo, di mettersi al passo con gli esiti più aggiornati del pittore senese, segno di un interesse certamente riallacciato nei frequenti e documentati ritorni del Nasini a Siena, […]. Non solo Francesco adotta i nuovi effetti luminosi di Bernardino, i drammatici contrasti tra cupe oscurità e luci intense, non solo si impegna a rendere la vibrante materia delle vesti e a dare lucida solidità ai volti ed alle carni, o a segnare la tragica consunzione sul viso di Sant’Anna, ma soprattutto azzardare timidamente, sulla scorta dei modelli offerti dal Mei nella Decollazione del Battista di San Giovannino in Pantaneto e nel Giudizio di Salomone della Collezione Chigi Saracini un’impaginazione in linea con gli intenti di decoro della pittura di “historia”, in cui a disposizione su più piani dei personaggi e la calibrata gestualità, già sperimentata nella Crocifissione di San Clemente a Montelaterone, improntino la narrazione a vero e proprio eloquio barocco. (Cecilia Alessi, Sposalizio della Vergine, in la Chiesa di San Giuseppe, Storia, Arte, Solodarietà).
Lo Sposalizio della Vergine è una delle tante opere di Francesco Nasini che popolano il panorama pittorico del territorio dell’Amiata e oltre, dove il nome di questo artista con la sua personalità, la sua famiglia e la sua bottega, ha scritto una irripetibile pagina di pittura nel XVII secolo, con riflessi importanti nel secolo successivo.
Giombattista Corallo