Leggo su il Venerdi di Repubblica del 1° marzo 2019 che “il filosofo Jordan Shapiro difende l’educazione digitale a base di tablet e smatphone: “Proibirli o limitarli non è mai una soluzione”. È esattamente il contrario di quanto sostenevo nella Cronaca del giugno scorso “Attenzione ai pediatri”, i quali “consigliano di ridurre l’uso degli smartphone ad un ora al giorno nei bambini tra i 2 e i 5 anni e a due per quelli tra 5 e 8 anni”. Shapiro è un filosofo titolatissimo, professore alla Template University in Pennsylvania, anche con tanto di master in psicologia, scrive su “Forbes”, ha fatto perfino il cuoco e gestito un rinomato ristorante e poi è passato ad occuparsi ai massimi livelli di educazione e tecnologie informatiche. Sicuramente un ospite di alto lignaggio per queste infinitesime cronache di montagna. La Newton Compton ha appena tradotto il suo ultimo libro, Il metodo per crescere i bambini in un mondo digitale, titolo che traduce un po’ approssimativamente l’originale che è The new childhood , cioè “la nuova infanzia”. Ciò vuol dire che per il filosofo c’è un nuovo modo di essere bambini, cosa che corrisponde alla mutazione antropologica in corso nel mondo globale. Il sottotitolo inglese è ancora più esplicito, senza la sofisticazione metodologica del titolo italiano, “raising kids to thrive in a connected world”, cioè con buona approssimazione del mio modesto inglese “crescere i bambini per prosperare nel mondo interconnesso”. “Prosperare” è un tipico verbo americano, che fa coincidere la ricerca della felicità, normata costituzionalmente, con l’accumulazione dei dollari. Shapiro sostiene che l’infanzia è un’invenzione recente di epoca industriale, è quindi “un prodotto del pensiero tecnologico”. Se ne deduce che i bambini debbono essere lasciati a sperimentare le macchine elettroniche, sfruttando il loro vantaggio di essere digital native, cioè di essere nati con in mano lo smartphone. Lo stesso articolo contrappone i genitori della Silicon Valley, che si arricchiscono inventando videogiochi e app, ma che “fanno firmare alle babysitter contratti che vietano l’uso degli smartphone” per i propri figli. Ma costoro per Shapiro “non si rendono conto che stanno solo promuovendo modi di vivere tecnologicamente obsoleti”. La conclusione del filosofo è: “L’importante è non averne paura. E ricordare che gli strumenti non ci usano, siamo noi che usiamo loro”. Sembra che Shapiro ignori l’antico concetto filosofico di “alienazione” di Hegel, se proprio si schifa di leggere Marx, il quale dipende anche dall’uso delle macchine – come vengo sommessamente dicendo in queste cronache. Tanto per essere espliciti: le macchine, anche quelle elettroniche, non possono liberare l’uomo e il suo lavoro finché saranno sottomesse allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Esse continueranno – come quelle delle generazioni precedenti – a produrre alienazione, disumanizzazione e miseria e i pennivendoli, che tenteranno di negare questa semplice verità, saranno solo dei miserabili, nonostante i master e i titoli accademici, con buona pace della filosofia come ricerca della verità nei limiti del possibile umano.