Premetto subito che, per quanto l’acronimo dell’Intelligenza Artificiale sia IA, il legame con gli asini non sta nel raglio I-A. Dunque per IA intendiamo, in base alla fonte di ogni sapere, cioè Wikipedia, “una disciplina appartenente all’informatica che studia i fondamenti teorici , le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmazione software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana”. La definizione è di un certo Marco Solmavico, sia onore al merito, ingegnere pioniere in questo campo, passato a miglior vita nel 2002. La IA ha una storia antica, che affonda le sue radici nelle macchine calcolatrici del 1600. Oggi si basa sugli algoritmi, cioè su sequenze logiche in grado di prendere decisioni simil-umane su basi razionali. Questa definizione è mia. Quella ufficiale da Wikipedia recita: “è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari, chiari e non ambigui, in un tempo ragionevole”. Sia detto per inciso che il problem solving, cioè la capacità di risolvere problemi, è un’abilità caratteristica del cervello umano e non solo. Degli algoritmi abbiamo già parlato in un’altra di queste Cronache nel marzo di quest’anno, a proposito dei droni killer, cioè macchine programmate per uccidere, richiamando l’opinione del celebre fisico, recentemente scomparso, Stephen Hawaking, che metteva in guardia dall’adozione su larga scala dell’intelligenza artificiale per la sopravvivenza dell’umanità ( Rory Cellan-Jones, Hawking: AI could end human race, in BBC News, 2 dicembre 2014).
In una recente conferenza per il Linux Day il relatore Lorenzo Pinna, giornalista coautore di Superquark, ha candidamente ammesso che l’IA prescinde da ogni considerazione delle componenti emotive nella soluzione dei problemi e nel prendere le decisioni. Mi è venuto in mente il famoso “asino di Buridano”, che ci facevano studiare a filosofia, per cui un asino posto ad egual distanza tra un secchio d’acqua e uno di avena non saprebbe prendere la decisione e morirebbe di fame e di sete. Ora è noto in natura che l’asino – analogamente agli esseri umani – se ha più fame va all’avena e se ha più sete va all’acqua, dimostrando quanto i filosofi, intelligenti in molti campi, a volte si pongano problemi inutili. Il nocciolo del problema sta nel fatto che i dispositivi cerebrali che sono preposti a decidere contemperano sia la ragione che l’emozione (Damasio, L’errore di Cartesio, 1994). Già oggi uno dei problemi umani è che la nostra mente ha un cervello emotivo spesso poco preparato a decisioni complesse e razionali, il cosiddetto contrasto tra “il cervello del serpente” e quello “superiore” più umano, fatto centrale ad esempio nel controllo dell’aggressività, figuriamoci se affidassimo decisioni drammatiche come queste a una macchina per quanto dagli algoritmi sofisticati.