La locuzione touch screen è intraducibile in italiano, anche per il traduttore di Google, tant’è che tutti la usiamo in inglese con una certa sovrabbondanza di senso (diciamo “schermo touch screen”, dove screen già vuol dire schermo) e nel titolo io ne ho ricavato una strana espressione letterale. Esso indica una parte fondamentale degli attuali cellulari con schermi ad alta definizione, in cui lo schermo appunto risponde al tocco delle dita di una mano umana, di solito un polpastrello per i meno abili anziani digital immigrant e due polpastrelli per gli abilissimi ragazzi digital native. Questi schermi sono diventati sempre più sensibili come pelle delicata di donna, che spesso basta appoggiarci l’orecchio per interrompere la comunicazione. Dopo la strenua difesa del mio vetusto cellulare (mi aveva fedelmente servito per ben 5 anni con il suo schermo meno sensibile al tatto e quindi meglio funzionante per me), ho capitolato di fronte al regalo di Natale di un modello di ultima generazione. Ancora non ho imparato tutto (ci riuscirò mai?), ma riesco a rispondere e a chiamare, a leggere e a mandare messaggi e poco più con il supporto di tecnici specializzati e di figlioli pazienti. Ci vado, però, con la mano pesante, con il tocco addestrato dai 5 anni precedenti, ma il nuovo attrezzo se tu lo pigi troppo non risponde, ci vuole proprio un tocco del polpastrello come vuole il suo nome inglese. Quindi tutte le volte che lo uso mi devo ricordare di sfiorarlo e basta, mi aiuto con una reminiscenza letteraria (ognuno ha il suo accesso al mondo reale, per me il passpartout sono i libri): mi ha ricordato il tocco leggero con cui l’antagonista de L’amore ai tempi del colera di Gabriel Garzìa Màrkez, il dottor Juvenal Urbino, sfiora con un dito umettato di saliva il capezzolo della protagonista donna Fermina la prima notte di nozze. Dolcezza della dolcezza! Recentemente alla riunione costitutiva del Coordinamento grossetano per il no al referendum costituzionale, mentre cercavo con tutta la delicatezza possibile del mio polpastrello una notizia sul telefonino, ho alzato al testa e nel cerchio dei presenti altre tre o quattro persone, di cui un paio di omoni grandi e grossi, era lì a imitare il dottor Juvenal Urbino con grande dolcezza sui propri cellulari. Uno in particolare, che stazza oltre il quintale, digitava il suo touch screen come se stesse titillando le corde di un’arpa. Ho pensato: guarda dove si va a nascondere la tenerezza al tempo d’oggi.