Il dibattito italiano si complica micidialmente con l’intervento del garante per privacy rispetto ai decreti delegati relativi all’applicazione dei controlli a distanza del cosiddetto Job Act, cioè la possibilità dell’azienda di inserirsi surrettiziamente nei pc dei dipendenti per poterne controllare l’attività. Da queste pagine avevamo già dato un anticipo di questa possibilità nella XXII Cronaca dal titolo “Occhio di lince”, dove una nota università pretendeva di controllare la produttività dei propri ricercatori misurando i “tempi morti”, in cui la tastiera non viene toccata: come a dire; pensare è vietato. Abbiamo dibattuto la manomissione dello Statuto dei Lavoratori e ci è sfuggita quest’ombra lunga che si gettava sull’organizzazione del lavoro all’epoca delle macchine elettroniche.
Il controllo dei tempi della produzione nella fabbrica capitalistica c’è sempre stata, ricordiamo il famigerato “taglia tempi” dell’epoca tayloristica della catena di montaggio, cioè l’uomo in camice bianco che misurava i tempi degli operai di linea compresi i minuti per pisciare. Qui è molto peggio perché il controllo dei tempi avviene in automatico, non c’è bisogno dell’occhio umano. Ci aspettavamo l’inveramento televisivo della profezia di Orwell, in cui il “grande fratello” controllava il mondo dai teleschermi: invece questo è diventato un banale reality, che progressivamente perde interesse, e che rivela quanto poco la tivù ha rapporto con la realtà. Non c’è nulla di così poco realistico di una ripresa televisiva della vita “reale” di un gruppo di ragazzotti e ragazzotte, rinchiusi in uno scatolone pieno di specchi unidirezionali. La video-ripresa di una scena di relazioni interumane altera irrimediabilmente quanto accade davanti alla telecamera. Viceversa il “grande fratello” orwelliano riemerge con prepotenza da quella rete elettronica che qualche cretino parlamentarista propaganda come lo strumento principe della democrazia diretta. Non vi sarà alcuna democrazia vera senza l’emancipazione dell’uomo dalle macchine, dalla schiavitù e dall’alienazione che ne derivano. Ciò che sta accadendo è l’estensione della logica della fabbrica a tutta la vita umana. Il tempo di lavoro sta invadendo sempre di più anche il tempo libero, quello della vita.
Non saranno sicuramente le braghe di qualche garante o all’opposto di qualche censore che salveranno la nostra privacy (questo bene “assoluto” inventato negli USA, mentre pochi si occupano della libertà e dei suoi diritti): il meccanismo maledetto è interno alle stesse macchine elettroniche. Il punto è: vogliamo metterle al nostro (umano) servizio o vogliamo continuare a servirle? oppure come abbiamo anticipato in un’altra cronachetta (la V “Schiavi del computer”) dobbiamo immaginare ad una vita post-umana in cui i nostri posteri saranno un incrocio bio-elettronico?