Ottobre, tempo di castagne soprattutto sull’Amiata. E da sempre. “La montagna con le sue castagne era la nostra madre, ci allattava. E non solo con le castagne” scriveva padre Ernesto Balducci, uno dei suoi figli migliori. La “montagna madre” non è solo una metafora, la polenta di farina di castagne ha nutrito fin dall’alto medioevo le popolazioni del territorio e i castagneti sono diventati non solo alberi da frutto coltivati con cura, ma veri e propri giardini per raccogliere il frutto senza spreco alcuno.
Aveva ragione ancora una volta padre Balducci quando si riferisce agli amiatini che hanno lavorato i castagneti non come “semplici coltivatori, ma veri e propri giardinieri di un paesaggio”. Mentre il geologo e viaggiatore settecentesco Giorgio Santi nel suo “Viaggio al Montamiata” del 1795 descriveva così il territorio: “la bellezza, l’estensione e l’utilità dei castagneti da noi veduti ci ispirarono il desiderio di informarci, quale siano in questi paesi la cultura e la manutenzione. Sono le castagne il maggiore e più importante prodotto che la natura e l’arte somministrino agli abitatori del Montamiata. Tenere o mature, fresche o seccate, crude o cotte, ridotte in farina ed impastate, poi, in nicci, castagnacci, frittelle ed in polenta. Alla cultura, dunque dei castagni, che col frutto e col legname stesso tanti vantaggi somministrano ai proprietari, si sono con gran cura rivolti i paesani”. E tracce dell’importanza che si dava in passato a questa pianta si trovano anche negli statuti dei vari Comuni. Ad Arcidosso, ad esempio, negli Statuti del ‘500 si stabilisce che il “Comune dà tre castagni buoni a chi mette su casa”. Ma non è facile coltivare e raccogliere frutti in tempi brevi, perché la pianta comincia a produrre frutti intorno ai 20 anni dalla messa dimora e dall’innesto, ma dall’altro canto, ha anche vita lunga e può arrivare a grandi dimensioni: ne è un esempio il “castagno dei cento cavalli” alle falde dell’Etna. Di questa pianta ne parlano anche i più nobili a poeti dell’antichità come Omero, Virgilio, Marziale. L’uso della castagna in cucina è antichissimo e risale a circa 2000 anni fa, quando il frutto era diffuso in tutto
l’Impero Romano e a partire dal Medioevo è stata il fulcro dell’alimentazione per molte comunità ed era definita “pan di legno”, che ben si accostava al “vin di nuvole” dei poveri che atro alimento non avevano se non farina di castagne e acqua. In molti casi era la sola ricchezza che queste popolazioni avessero e spesso veniva usata come merce di scambio con prodotti di altre zone. Sull’Amiata sono presenti almeno 24 cultivar delle quali 3 hanno il marchio Igp: la bastarda rossa, il cece e il marrone, in una estensione di 5160 ettari di cui 2494 da frutto e 2224 cedui. Per la salvaguardia di questo enorme patrimonio è sorta nel 2000 l’Associazione per la valorizzazione della castagna del Monte Amiata Igp, con sede al Arcidosso per volontà di un gruppo di castanicoltori e con il supporto di Enti locali. L’Associazione, che oggi conta oltre 300 associati, oltre alla tutela della castagna persegue altri scopi come la promozione di attività culturali e scientifiche legate al patrimonio castanicolo, l’impegno nella lotta al Cinipide Galligeno, insetto killer del castagno, con la realizzazione di incontri formativi ai castanicoltori, la gestione della Strada della Castagna del Monte Amiata Igp, solo per citare alcuni interventi. Non mancano, certamente, le feste del territorio che celebrano la “biondina”, mischiando momenti conviviali con le attività di commercio (Monticello Amiata, Abbadia San Salvatore, Vivo dìOrcia, Arcidosso, Cana, Campiglia d’Orcia, Castel del Piano, Piancastagnaio). E anche la tradizione popolare si è occupata della castagna, con proverbi e novelle: La castagna è il grano della montagna, La castagna è bella fuori e dentro ha la magagna, Il legno di castagna si mette la tonaca e prega o fuma, Prima castagna e ultima noce tienile per te, Se piove la prima settimana di giugno si seccan le castagne senza fumo, San Vito il castagno è incardito, Per Sant’Anna entra l’anima nella castagna, Se piove sui solleoni le castagne van tutte in guscioni, Caldo di settembre toglie non rende, A san Martino castagne e nuovo vino, Per San Michele la castagna è nel paniere, Per San Simone con la pertica e il bastone. E anche leggende, poesie e curiosità accompagnano questo dolce frutto, come quella che spiega come mai nei ricci si trovano tre castagne: “Dio, creando il castagno, mise in ogni riccio tre frutti, uno per il padrone, uno per il contadino e uno per il povero”. Oppure una poesia, di Giovanni Giuliani: “Il miglior don che con paterna cura/ci abbia fatto il Signor son le castagne,/il più dolce dei frutti addirittura/che si possa trovar sulle montagne./Re del cielo, al villan la scorza dura/apriteli dal capo alle castagne,/che impari a questo frutto benedetto/a voler bene ed a portar rispetto.” Così, in chiusura, quella di Rosalia Calleri: “Insomma in cento modi/si mangia la castagna,/cantiamo pur le lodi/del frutto di montagna”.