La formella centinata, che qui andiamo a descrivere, reca rappresentato il tema del Battesimo di Gesù e si trova collocata nella controfacciata della Pieve delle sante Flora e Lucilla a Santa Fiora (Grosseto), una delle tante terrecotte invetriate opera di Andrea della Robbia (Firenze, 1435 – ivi, 1525) e della sua fiorente bottega, realizzata intorno al 1480, un significativo sfondo e coronamento per il fonte battesimale costruito nella parte sinistra dell’interno del Tempio, subito dopo l’ingresso.
Al centro è posto Gesù, in posizione eretta, con i fianchi coperti da un panneggio, immerso fino alle caviglie nell’acqua trasparente del fiume Giordano così come la tradizione iconografica vuole nel Rinascimento, contrariamente a quanto avveniva nelle prime raffigurazioni del soggetto in cui la figura veniva bagnata quasi interamente, fino alle spalle. Sulla destra si trova San Giovanni, il Battista, inginocchiato, mentre con una ciotola versa l’acqua sul capo di Gesù. A sinistra due Angeli, anch’essi in ginocchio, reggono un panno. In alto s’intuisce la presenza di Dio Padre che entra nella scena con le sole braccia aperte fuoriuscenti dalle nuvole al centro delle quali spunta la Colomba dello Spirito Santo che si avvicina alla testa di Cristo accompagnata da alcuni raggi dorati. Una striscia, arrotolata verso le due estremità, passa sotto le mani dell’Eterno, e, parzialmente nascosta, reca la seguente scritta: “HIC EST FILIUS MEUS DILECTUS IQUO M…”.
Secondo le Scritture, la gente accorreva a farsi battezzare da Giovanni, chiamato appunto, il Battista e anche Gesù, un giorno, accorse insieme alla folla: “In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne fino al fiume Giordano e si avvicinò a Giovanni per farsi battezzare da lui”. (Matteo, 3, 13); “Proprio in quei giorni, da Nàzareth un villaggio della Galilea, arrivò anche Gesù e si fece battezzare da Giovanni nel fiume”. (Marco, 1,9); “Intanto tutta la gente si faceva battezzare. Anche Gesù si fece battezzare e mentre pregava, il cielo si aprì”. (Luca, 3, 21). “Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua. All’improvviso il cielo si aprì, ed egli vide lo Spirito di Dio il quale, come una colomba, scendeva su di lui. E dal cielo venne una voce: «Questo è il Figlio mio, che io amo. Io l’ho mandato»”. (Matteo, 3, 16-17).
Lo sfondo azzurro del cielo e le rocce sulle quali poggiano tutte le figure, di una tonalità diversa dello stesso colore, è interrotto da due tronchi d’albero di colore marrone sormontati dalle chiome di foglie verdi a struttura conica. Il colore bianco sottolinea le belle e morbide forme delle figure caratterizzate anche da una straordinaria dolcezza dei volti e della delicatezza del modellato facendole emergere dallo scuro, colorato, paesaggio che le ospita.
Il tema, con poche varianti, si sviluppa a partire dall’arte delle catacombe. La prima opera su questo soggetto, infatti, è considerata l’affresco delle Cripte di Lucina, nelle Catacombe di San Callisto a Roma, risalente alla seconda metà del II o alla prima metà del III secolo. Le immagini non sono molto chiare; sono evidenti solo due macchie di colore rosso-bruno mancanti dei dettagli. Ad un periodo di poco successivo risale la pittura sullo stesso tema in una parete delle Catacombe dei Santi Pietro e Marcellino, a Roma. Del IV secolo è l’affresco delle Catacombe di Ponziano dove si fissa lo schema iconografico che caratterizza tutto lo sviluppo del tema nell’arte dei secoli successivi. Il V secolo vede nei mosaici bizantini di Ravenna la realizzazione ormai canonizzata del soggetto. Giovanni è posto sulla sponda del Giordano, vestito di pelle di animale, che battezza Gesù immerso nell’acqua del fiume fino alla cintola. Sopra di lui è raffigurata la colomba dello Spirito Santo. Dall’acqua fuoriesce il busto di una figura maschile con la barba: è la personificazione del fiume Giordano, un motivo di ricordo classico (Battistero di San Giovanni in Fonte detto anche Battistero degli Ortodossi o Neoniano, V secolo). Lo stesso soggetto, con caratteri simili soltanto con l’inversione delle figure nella posizione, è rappresentato come nel precedente, alla sommità della calotta interna del Battistero degli Ariani sempre a Ravenna.
All’XI secolo risale il rilievo eburneo copto con il soggetto in questione, conservato nel Britisch Museum di Londra e al secolo successivo quello facente parte del ciclo musivo del Duomo di Monreale (1180-90).
Un bell’esempio del tema viene dato da Giotto nel ciclo con Storie di Maria e di Cristo nella Cappella Scrovegni di Padova risalente al 1303-1305.
Nel Rinascimento, il tema vede una varietà iconografica molto ricca per la fantasia creativa degli artisti. La figura di Cristo, rappresentata sempre nuda, ora si copre di un perizoma ed è immersa nell’acqua solo fino ai piedi (Battesimo di Cristo, Andrea Verrocchio, XV secolo, Firenze, Galleria degli Uffizi) e anche in quella di Piero della Francesca, compaiono figure di angeli che assistono all’evento o che reggono i vestiti di Gesù, e altre figure rappresentate nell’atto di spogliarsi per l’infusione (Battesimo di Cristo, Piero della Francesca, 1440-50, Londra, National Gallery).
A volte, Gesù, solitamente raffigurato in piedi, è rappresentato in ginocchio, in segno di sottomissione e di umiltà verso il sacramento purificatore, lui che è Figlio di Dio (Il Battesimo di Gesù, Carlo Maratta, XVII secolo, Napoli, Chiesa della Certosa di San Martino). In epoca post-rinascimentale il soggetto non viene molto rappresentato se non su richiesta di confraternite religiose o chiese dedicate a San Giovanni. Ma ritorniamo alla nostra formella: la scena centrale descritta è compresa entro una larga fascia, anch’essa centinata che ha, verso il bordo esterno, un motivo decorativo a “ovoli, sgusci e lancette” e, in quello interno, una decorazione a “palmette”, tutti derivanti dalla cultura figurativa classica. L’arco è sormontato, al centro, da un elemento ornamentale costituito da due rosette che stringono un mazzetto di foglie di quercia che da esse si dipartono e, lateralmente, da altre due rosette più grandi che si collegano all’esterno della cornice ciascuna con tre foglie accartocciate. La rosa ha un valore simbolico e, anche se qui mancano i colori: quella rossa ci riporta al significato del martirio, quella bianca a quello della purezza, mentre le foglie di quercia simboleggiano, la solidità, la forza spirituale che deriva dal Battesimo.
Ma è la varietà dei frutti rappresentati nella fascia che racchiude la scena centrale nelle due parti laterali e nella centina, che ci interessa qui, particolarmente, in quanto simboli importanti che, come tutti i simboli e le allegorie, nascondono significati profondi che vanno al di là del loro valore di ciò che sono:
Partendo dalla sinistra in basso, troviamo tre pigne chiuse con i pinoli non visibili, coperte da foglie del pino; procedendo verso l’alto troviamo rappresentate tre mele parzialmente coperte dalle foglie dell’albero che le produce; successivamente troviamo tre grappoli d’uva con grandi foglie di vite; andando ancora avanti nella centina, vi sono tre arance con le rispettive foglie; poi altre tre pigne; e ancora tre mele di colore più scuro; e altre tre pigne; e, discendendo verso destra, tre cetrioli; poi tre ricci semiaperti con le castagne visibili all’interno; e termina con altre tre mele più scure. Tutti i frutti sono legati alla stessa pianta come se fossero tutti provenienti dalla stessa madre. E sempre nel numero di tre con il significato della SS. Trinità. Ma che cosa simboleggiano i frutti rappresentati nell’opera?
Pigna. È il frutto di una pianta sempre verde, la pigna simboleggia la forza vitale e l’eternità. Mentre per l’abbondanza dei suoi semi è il richiamo alla fecondità e alla forza generatrice di vita. Spesso si associava anche all’uovo cosmico e quindi alla nascita e alla creazione del genere umano.
Mela. Nell’iconografia religiosa, la mela, se è retta da Gesù Bambino, è simbolo di redenzione. Gesù, in questo atteggiamento, si fa carico dei peccati del mondo per salvare l’umanità;
Uva. Nella cultura cristiana è simbolo eucaristico; legato al concetto del vino quale sangue di Cristo ci riporta al valore salvifico dell’Eucaristia;
Arancia. È simbolo di purezza; nei dipinti rinascimentali del Nord Europa viene usata al posto della mela per alludere al valore di redenzione per il suo nome olandese “sinaasappel” = mela cinese;
Cetriolo. È simbolo di resurrezione. Il suo significato deriva dall’episodio biblico in cui si racconta che il profeta Giona, dopo essere stato inghiottito dalla balena, fu vomitato dall’animale marino dopo tre giorni e si svegliò sotto una pianta di zucca. Siccome nel Rinascimento tra zucca e cetriolo, appartenenti alla stessa famiglia delle cucurbitacee, non si faceva differenza, venivano usati con lo stesso significato. Il soggetto ebbe molto successo nell’iconografia cristiana perché gli si attribuì un valore simbolico: il tempo trascorso da Giona nel ventre dell’animale marino corrisponde ai tre giorni passati da Gesù nel sepolcro prima di resuscitare. Giona, personaggio biblico, profeta. A lui Dio ordinò di recarsi a Nìnive per convertire gli abitanti di quella città alla fede cristiana ma Giona, invece, s’imbarcò a Giaffa per andare a Tarsis: “Gli disse: «Su, va’ nella grande città di Ninive e proclama contro di lei che la loro malvagità è salita fino a me!». Giona partì, ma per fuggire a Tarsis, lontano dalla presenza del Signore. Scese a Giaffa e trovata una nave che partiva per Tarsis, pagò la sua quota e vi salì per andare con loro a Tarsis, lontano dalla presenza del Signore.” (Giona, 1). La nave sulla quale viaggiava, però, si trovò in mezzo ad una tempesta scatenata da Dio per punire Giona che aveva disubbidito: “Il Signore allora lanciò un forte vento sul mare e si levò una grande tempesta, sicché la nave minacciava di sfasciarsi.” (Giona, 1). I suoi compagni di viaggio lo gettarono in mare quando egli confessò di essere la causa di quel tempo avverso: “Poi presero Giona e lo gettarono in mare; allora il mare si calmò dal suo sdegno.” (Giona, 1). Fu ingoiato da un grosso pesce, non ben identificato, che lo tenne nel suo ventre tre giorni e poi lo restituì sulla riva sano e salvo: “Il Signore dispose che un grosso pesce divorasse Giona. Così Giona rimase nel ventre del pesce tre giorni e tre notti […]. Allora il Signore ordinò al pesce di restituire Giona sulla spiaggia.” (Giona, 2).
Castagna. È raffigurata quasi sempre all’interno del riccio da cui sta per uscire, attaccata al rametto corredato dalle tipiche foglie con il significato di redenzione e salvezza dell’uomo. Nel Rinascimento, essendo uno dei pochi prodotti indispensabili, facilmente reperibili per il sostentamento delle persone nelle civiltà contadine delle regioni montagnose, si associa alla spiritualità e al cibo dell’anima rappresentati dal Battesimo e dall’Eucaristia;
Giombattista Corallo