La “cultura” in questi giorni è in bocca alla politica intera, con Franceschini suo alfiere e ministro delegato.
E la ‘capitale della cultura’ è uno di quei giochi da tempi di pace che serve, senz’altro, a porre la questione del patrimonio e di quanto ruota intorno ad esso.
Bene, bene che se ne parli, dopo decenni di oblio, territori offesi, ferite insanabili. Dopo che nei bilanci istituzionali alla ‘voce’ non si è data l’importanza necessaria: fanalino di coda.
Ma con il tam tam di questi giorni non si può non parlarne.
Ecco che dopo anni e anni di subalternità, la questione culturale acquista nuova importanza grazie al circo delle candidature. Ben 24, tra cui Grosseto e Amiata.
Grosseto cittá, con una giunta che non fa altro che investire in mostre, eventi, presidi culturali vari, ma intorno ci sarebbe la Maremma, marchio che forse avrebbe peso maggiore? Ma la scelta dell’oggetto città non è discutibile.
Del resto c’è già stata recentemente una candidatura della Maremma, troppo acerba per funzionare, ma suggestiva e carica di significati polisemici che rimangono nel DNA in mutazione.
E in fondo, dopo Parma che è la città che conosciamo, toccherà a Procida, un’isoletta di fronte a Napoli che ha cambiato la prospettiva delle scelte, consigliando che ‘piccolo’ non è piccino, né modesto.
Ma… viviamo tempi incerti e confusionari e in nome dell’uscita dalla pandemia si accorciano molte strade, anche quelle istituzionali.
L’Amiata… territorio complesso e straordinario raccolto intorno al cono vulcanico. Ma pare, però, si parli solo di Amiata grossetana, cioè una parte. Per cui manca comunque un pezzo importante, che la geografia politica divide e che di fatto trasforma un’area omogenea in due distinte espressioni amministrative spesso diversamente orientate. Soprattutto in un periodo come questo in cui i Comuni, invece di aprirsi, si arroccano, con un inevitabile accavallarsi di eventi e proposte non condivise.
Naturalmente ogni scelta è lecita, ma già proporre un’Amiata dimezzata si presenta ineffabilmente come operazione incompleta e forse, per correre ai ripari, sarebbe logico inventarsi una Grosseto-Maremma che arriva fino a noi, ma lascia indietro l’interno, la costa e le colline Metallifere.
Ma… importante è parlarne! Certi processi andrebbero meglio digeriti nella trama interiore dei territori, fatti di comunità in crisi, come in quasi tutto lo stivale, al fine di ottenere un percorso di legittimazione coinvolgente.
E l’Unione dei Comuni (una per Grosseto e l’altra per il senese) ha perso nel tempo gli strumenti necessari per governare processi naturali di cambiamento, pur avendo a disposizione professionalità di rilievo. Ma l’alternarsi dei presidenti e la lateralità dovuta ad una discutibile legislazione a riguardo, ne indebolisce di fatto l’operatività, ovvero la capacità di incidere sulle scelte fondamentali per il territorio di riferimento.
Non è un caso che sia sviluppata una posizione di attenzione alla geotermia, all’ambiente e alla questione del ‘Parco nazionale’, idea non originale ma di sicuro effetto mediatico e spinta al confronto.
Si tratta oggi di un ente, pur fondamentale come lo erano anche le Provincie impoverite, che può attirare ingenti risorse pubbliche, con evidenti difficoltà di gestirle virtuosamente.
È noto che l’Amiata sia un’icona potente, con caratteristiche culturali di riguardo, un patrimonio inestimabile pari ad altri siti italiani noti e con una spiccata caratteristicità che, per cogliere meglio, basta sfogliare i più di 80 numeri di “Amiata Storia e Territorio”, le annate de “Il Nuovo Corriere dell’Amiata” nato nel 2000.
In queste testate, spesso ignorate dalle amministrazioni, emerge una identità composta di solidi studi scientifici e lavoro sul campo, a cui si aggiungono numerose pubblicazioni (molte di Effigi), che, nel tempo, hanno cercato di mettere a fuoco la piccola koiné che la nostra montagna rappresenta in rapporto stretto con i territori circostanti, la Maremma, la val d’Orcia, e anche porzioni di Lazio e Umbria. insomma, autentico faro dell’Italia centrale tirrenica, montagna sacra degli Etruschi (questa definizione l’ho usata per la prima volta in una guida del 1986).
Mi sembra importante che in un tale delicato e troppo lungo frangente, emerga una volontà reale di proporre la nostra cultura ad un livello più elevato, in maniera che ciò faccia da traino. E certamente potrebbe stimolare una riflessione meno concentrata sul momento, ma spostarsi su un binario diacronico attento alle nuove generazioni, che so, dispongono di una percezione distopica dall’identità tradizionale. Il rischio infatti è proprio quello del distacco, dell’interruzione di quel flusso capace di trasmettere in continuità la linfa inestimabile dei saperi della terra, della nostra.
Ma non sono tempi per un dialogo allargato intralciato in effetti dal covid e si ritiene comunque che l’azione si debba compiere senza un consenso allargato, decisa nelle stanze della politica e non attraverso una discussione più ampia che coinvolga le voci attive, quando esistono, certo.
Non si tratta di un contrasto pregiudiziale, piuttosto di considerazioni generali che sarebbe meglio si mettessero in evidenza in un una fase propedeutica e non in sede di esami.
Domande che probabilmente vengono in mente a molti di coloro che amano l’Amiata decidendo di farne la propria residenza, invece di abbandonarsi a una più comoda emigrazione. Voci che sono parte integrante e palpitante di un fazzoletto d’Italia ricco di suggestioni, per il quale vorrebbero sempre il meglio.