E’ stato un piacevolissimo pomeriggio, quello di domenica scorsa al teatro “Andrea Camilleri” di Santa Fiora, dove una lodevole sinergia tra Filarmonica “Gioberto Pozzi”, Corale “Padre Corrado Vestri”, Comune, Fondazione Santa Fiora Cultura ed il significativo aiuto di partner privati, hanno consentito di allestire “La Traviata”, celebre opera lirica di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, nell’adattamento curato dal compositore Lorenzo Pusceddu per le edizioni musicali Scomegna. Andata in scena anche la sera precedente, ha fatto registrare in entrambe le recite il tutto esaurito. Con ragione. Tante e tali le note positive che c’è davvero l’imbarazzo della scelta nel provare a sottolineare almeno le principali. Partiamo dunque dalla regia, attenta e mai invadente di Luca Visconti, che ha creato fra l’altro veri e propri movimenti scenici per il coro, apparso più volte con cambi d’abito indovinati, e la presenza immanente della “Nera signora” che osserva, in disparte, il dipanarsi della storia, fino al suo trionfo conclusivo. Essenziali, ma di effetto, le scenografie ed i cambi scena che – attraverso pochi elementi – consentivano comunque visivamente di cogliere la diversità dei luoghi ideali di svolgimento del dramma. Apprezzabile anche la scelta di far scorrere in alto, a caratteri ben visibili i testi del “cantato”, agevolando molto il pubblico, che poteva al contempo seguire il testo e la scena proposta. Veniamo alla parte musicale. La Filarmonica “Gioberto Pozzi”, pur supportata da preziosi amici-collaboratori esterni (e strumenti non proprio usuali in una banda di medie dimensioni, quali oboe, fagotto, contrabasso) si è proposta in veste di vera e propria orchestra, confermando quanto è ormai conosciuto da anni sulle qualità espressive raggiunte da questo complesso bandistico. I coristi, la cui età media non è giovanile, si sono mostrati duttili e disponibili: pur se non troppo numerosi hanno ben figurato, muovendosi in modo disinvolto e mostrando buona qualità di esecuzione. Detto questo, è facile riconoscere gli ampi meriti del maestro Daniele Fabbrini, da anni impegnato nel duplice ruolo di direttore della Banda e della Corale, realtà che con lui sono cresciute e continuano a vivere esperienze nuove ed esaltanti. Ha diretto in modo sobrio ma assai partecipato i tre atti, svolgendo anche il ruolo di maestro per i solisti. E qui, davvero, gli apprezzamenti non sono fuori luogo, considerato che la maggior parte dei protagonisti principali sulla scena non sono professionisti ma, certo, raggiungono picchi espressivi degni di sottolineatura, a partire da Viola Pomi, una Violetta Valèry di grande presenza scenica ed assai espressiva, proseguendo nell’ordine con Miriam Magnani-Flora Bervoix, Moreno Pomi-Gaston de Letorieres, Sergio Pennatini-Barone Douphol, Paolo Bruni-Marchese d’Obigny, Mirella Picconi-Annina, cameriera e Silvano Bartolomei-Giuseppe, l’attendente. A parte – ma non perché unici professionisti del cast canoro – citiamo il tenore Davide Sotgiu, un più che convincente Alfredo Germont: chiamato all’ultimo momento per una indisposizione del designato Daniele Nutarelli, ha tenuto la scena senza esitazioni, infondendo con ogni probabilità ulteriore sicurezza anche a tutti gli altri co-protagonisti e l’apprezzato baritono francese Sofiane Cherfa nei panni di Germont padre. I prolungati, convinti e calorosi applausi che hanno accompagnato la comparsa sul proscenio di tutti i protagonisti e dei collaboratori fuori scena, al termine della rappresentazione, sono stati il meritato omaggio a quanti hanno contribuito alla realizzazione di questo sontuoso spettacolo teatrale, segno tangibile che l’obiettivo prefissato era stato raggiunto. In particolare i coristi hanno voluto dedicare questo lavoro al loro “collega” Luciano Ciancetta, “scomparso di recente lasciando un vuoto incolmabile”, come ha detto in chiusura con voce commossa un loro portavoce. Ulteriore motivo di plauso.