“I Cormorani” (Dunque, Superbudda, Audioglobe) è uscito in vinile il 1 dicembre 2016 ed è la colonna sonora, scritta da Paolo Spaccamonti e dall’eclettico trombettista Ramon Moro, dell’omonimo film, primo lungometraggio a firma del regista torinese Fabio Bobbio. Il film racconta dell’età acerba e sognante dell’adolescenza attraverso le esplorazioni tra fiume, boschi e ambientazioni urbane dei due dodicenni Samuele e Matteo, ed ha ricevuto un incredibile riscontro, come del resto anche il disco, recensito ad esempio egregiamente da Rumore, Mucchio e Sentire Ascoltare.
Di Paolo Spaccamonti conosciamo sensibilità e padronanza tecnico-strumentale, sia quando si tratta di musica ascrivibile a un genere, o più di uno (i suoi andirivieni tra elettronica e indie-jazz, avant blues e rock, minimalismo ed echi post-punk) sia quando compie bruschi salti nello sperimentalismo.
Dal momento che le opere del cuore vanno fatte decantare – può essere un modo per risolvere reazioni divergenti di fronte al nuovo, ma anche la maniera di avvicinarsi a un percorso creativo e comprenderlo – diciamo due parole sul ritorno del chitarrista sperimentale torinese che avevamo lasciato a “Rumors”, suo precedente disco dedicato al “chiacchiericcio cui dobbiamo sottoporci ogni giorno per esigenze di vita, sopravvivenza”.
Spaccamonti si è rarefatto, puntando ancora più all’essenziale, forse perché questa volta la musica non è l’unica protagonista ma deve accompagnare, sottolineare, coadiuvare immagini ed azioni, come accade ad una colonna sonora che diventi parte integrante e non prescindibile dell’esperienza fruitiva.
La scelta è andata verso una concisione che parla di spazi profondi, non si sa bene se celesti o terrestri, e perché no, forse tutti e due, se come in questo caso si ha la capacità di allargare con una manciata di note l’orizzonte percettivo dell’ascoltatore.
Il disco si compone di 10 tracce, evocative anche nei titoli di un’atmosfera vagamente iniziatica, vibratile.
Si viene a contatto con sensazioni tese, potenziali (come nella prima traccia e nella sesta, quasi aliena) oppure al contrario con un minimalismo schietto, come nel terzo brano e nel settimo, dove si avverte un sottile senso di tragico, di transizione. Dopo il quarto brano, etereo, compare una chitarra che ricama nel silenzio, brevissima (track 5), mentre il vero cuore musicale sboccia nel secondo pezzo, che apre a cieli immensi grazie alla tromba impareggiabile, e nel sentito cantico del brano 9, intitolato proprio “I Cormorani”. Qui si trova forse l’esempio più comprensibile della sintonia tra Spaccamonti e Ramon Moro, e si rintraccia anche una citazione di “Buone notizie” (secondo album di Spaccamonti, ndr) a tutto vantaggio dell’ascolto.
Di sicuro scindere una colonna sonora dal proprio film può essere un’operazione avventata, perché rischia di sottrarle quei riferimenti neccessari all’orientamento: però è anche la prova dell’autonomia di un’opera, capace tra l’altro di costruire nell’ascoltatore ignaro, miracolosamente, le coordinate di un mondo.