Arte contemporanea sul Monte Amiata

Il ricordo di un importante evento culturale: La pop-art in una mostra itinerante

Il Castello Aldobrandesco di Arcidosso, il Palazzo Nerucci di Casteldelpiano (Keith Haring / Paolo Buggiani), la Villa Sforzesca di Castell’Azzara (Andy Warhol / Pietro Psaier), furono coinvolti in una straordinaria iniziativa espositiva di arte contemporanea che si svolse dal 5 settembre al 4 novembre del 2012. La Rete museale della Provincia di Grosseto, la Regione Toscana, i Comuni di Follonica, Monte Argentario, Orbetello, i tre Comuni amiatini già nominati e il Monte dei Paschi di Siena, con il coordinamento della direzione del Sistema Museale dell’Amiata, infatti, promossero una mostra itinerante dal titolo ‘Ordinary World – Andy Warhol, Pietro Psaier and the Factory artworks – Keith Haring, Paolo Buggiani and the Subway drawings’ di opere di alcuni artisti rappresentanti di una delle correnti più note e importanti dell’arte figurativa della seconda metà del XX secolo: la pop-art. L’ambiente culturale amiatino si arricchì così di un altro evento che successe a quelli che si erano svolti nei cinque anni precedenti che avevano visto esposte opere di quattro grandi maestri: Dietrich Klinge, Niki de Saint Phalle, Joan Mirò, Salvador Dalì. La mostra curata da Maurizio Vanni costituì un interessante, ideale, itinerario che collegava due significativi siti artistici di respiro internazionale, facendo da tramite, fra il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle della località “Garavicchio” di Capalbio e il Giardino di Daniel Spoerri di Seggiano. Partendo, infatti, dalle località tirreniche di Orbetello e Monte Argentario, passando per Follonica, in piena estate, raggiunse poi il Monte Amiata dove il percorso ebbe termine all’inizio della stagione autunnale. Ma che cos’è la pop-art, quali sono i suoi precedenti e quali i caratteri che la distinguono da altri importanti e simili movimenti dell’arte contemporanea?

La pop-art, abbreviazione dell’inglese popular-art, in italiano arte popolare, è una corrente artistica che si sviluppa in America a partire dagli anni Sessanta del XX secolo espandendosi poi in tutto il mondo, che vede nella vita di tutti i giorni i “valori” che connotano la società moderna sommersa totalmente dalle immagini che si impongono con forza all’attenzione del cittadino comune che viene aggredito dai manifesti pubblicitari che lo provocano dai muri delle città, dalla televisione, dai giornali, dalle insegne luminose al neon dei locali pubblici, con il loro linguaggio nuovo e accattivante sconvolgendo il modo tradizionale di comunicare e la mentalità dell’uomo. È l’arte della società industriale, ricca, opulenta, che riconosce nel consumismo l’unico sistema del vivere; è il messaggio delle metropoli movimentate da una vita frenetica, libera, in cui l’uomo decide, apparentemente in piena autonomia, della propria esistenza ma che dimostra chiaramente la forte dipendenza soprattutto dal linguaggio visivo ma anche sonoro dei quali è, in buona parte, prigioniero. E l’oggetto d’uso comune, commerciale, di cui l’arte si serve, assume il ruolo di unico protagonista dell’immagine pittorica e plastica. Così il barattolo di minestra (Warhol), la macchina da scrivere o la molletta da bucato (Oldemburg), il manifesto di un film (Rotella), un panino imbottito e un pacchetto di sigarette (Wesselmann), il particolare di una vignetta di un giornale a fumetti (Lichtenstein), un attrezzo da lavoro (Dine), un letto disfatto (Rauschenberg), un fermaglio blocca fogli (Rosenquist), la bandiera a stelle e strisce degli Stati Uniti d’America (Johns), fino all’oggetto estremo: merda d’artista (Manzoni), tolti al loro spazio naturale in cui sono normalmente collocati e alla funzione per cui sono stati realizzati, isolati dal contesto che gli è proprio, quindi, dipinti, scolpiti, o reali e assemblati, vengono posti sull’altare dell’arte diventando fonte di creatività e risultato estetico, cioè, vengono elevati al rango di opere d’arte: “Quello che costituisce il carattere dominante dell’arte pop è il fatto d’avere, per la prima volta, in maniera così decisiva, “riscattato” l’oggetto di consumo…Tale riscatto dell’oggetto, tuttavia, non va confuso né con la glorificazione surrealista dello stesso (oggetto deformato, naturalizzato, personalizzato), né con quella cubista (oggetto smembrato, deformato, ribaltato), ma deve essere inteso come una demistificazione e, spesso, un’ironizzazione della civiltà consumistica.” (Gillo Dorfles, Ultime tendenze nell’arte d’oggi).

È innegabile il ricordo del Dadaismo (in America la pop-art viene chiamata new-dada) nato a Zurigo nel 1916 ad opera di Tristan Tzara nel circolo culturale Cabaret Voltaire ma senza quell’aspetto negativo dato dalla sfiducia totale nell’uomo fautore di guerre che propone l’azzeramento di tutto per la ricostruzione morale della società, che fa dire agli artisti del movimento che: “la vera arte è l’antiarte”, ma rivalutando l’oggetto costringendo l’osservatore ad avere per esso la massima attenzione. Dada, invece, negava all’arte la “forma”, che non rappresentava nulla, era soltanto un gesto. Voleva rimuovere l’attenzione dall’oggetto per spostarla sul soggetto (G. C. Argan).

Il volto di Marylin Monroe e le figure di Elvis Presley, Jaqueline Kennedy, Che Guevara, Mao Tse-tung, ripetuti fino all’impossibile variandone soltanto i colori, sono presentati come personaggi “simbolo” del nostro tempo; la pubblicità dei supermercati, le immagini della stampa quotidiana e i fatti di cronaca, ampliati e adeguatamente colorati, diventano il veicolo della comunicazione a cui l’uomo della seconda metà del Novecento non può assolutamente rinunciare pena l’estraneamento dalla società in cui vive, l’isolamento. E a questa tipologia umana si rivolge Andy Warhol (Filadelfia, 1930 – New York, 1987) che registra tutto attentamente e trasmette, al consumatore tipo, la notizia sensazionale rendendolo testimone privilegiato di eventi della vita contemporanea che egli accetta o rifiuta istintivamente senza però esprimere giudizi di merito: “Così è nella società di massa, così vuole il sistema del consumo illimitato: infatti il giudizio stabilisce il valore, il valore ferma il consumo. Che la notizia ci rallegri o ci irriti, o rallegri me e irriti il mio vicino nell’autobus, non ha alcuna importanza: sono reazioni individuali e momentanee, già previste.” (G. C. Argan, L’arte moderna 1770/1970). E come i temi così anche la tecnica usata dall’artista americano è, principalmente, quella suggerita dal mondo artistico contemporaneo: la serigrafia di cui si serve il nuovo linguaggio iconico e la comunicazione industriale.

Con Warhol collaborava una figura d’artista a dir poco contraddittoria: Pietro Psaier. Di lui non si conosce molto, si arriva addirittura a dubitare della sua stessa esistenza. Nato, forse, nei pressi di Roma nel 1936 peregrinò per il mondo toccando la Spagna e altri Paesi fino a sbarcare a New York nel 1961, svolgendo vari mestieri e approdando poi nel Factory artworks, lo studio di Andy Warhol, secondo qualcuno, aiutando il maestro della pop-art e assorbendo totalmente la sua pittura e il modo di produrla, altri si dichiarano sicuri di non averlo mai incontrato negli ambienti artistici americani. Si dice che sia morto nello Srï Lanka durante lo tsunami dell’autunno del 2004, ma il suo corpo non è stato mai trovato motivo che ha alimentato il senso di mistero che gira intorno a questa controversa figura di uomo e di artista.

E se Warhol si muove attorno ai segni-simbolo della nostra epoca, Keith Haring, che partecipa della corrente artistica del suo maestro, parte dal disegno infantile e dal fumetto (il padre era disegnatore di fumetti e di cartoni animati) iniziando la sua spregiudicata attività come writer, o graffitaro come viene definito in Italia, un artista che imbrattava i muri della metropolitana con le bombolette spray a colori vivacissimi cosa che lo portò, più volte, nella scomoda situazione di essere arrestato. Per lui l’arte deve essere prodotta per la massa e non per l’elite e l’artista deve farsi carico delle esigenze e delle richieste che pervengono da questa parte della società. Le sue opere non hanno titolo e sono eseguite di getto senza un progetto preventivo ma nascono con “l’aggressione” diretta, da parte dell’artista, delle grandi superfici delle facciate e dei muri scrostati delle metropoli che egli riesce magistralmente a dominare per lanciare il suo messaggio drammatico. L’apparente innocenza della semplicità delle strutture e delle forme di Haring non ci deve però trarre in inganno. Il mondo che lui presenta è quello dei diseredati, degli emarginati da una società che non ha il tempo di voltarsi per offrire il suo sguardo a chi vive la sua vita nell’angoscia e nella disperazione: “Haring popola i suoi coloratissimi graffiti di ambigui personaggi infantilmente stilizzati, sorta di elementari omuncoli che egli definisce radiant boys (ragazzi sfolgoranti), in quanto sempre circondati da una fumettistica aureola di raggi luminosi. La metafora, però, non è mai scherzosa, In quegli esseri metamorfici, infatti, coesistono sia la primitiva immediatezza dei graffiti preistorici, sia le compresse paranoie dell’uomo contemporaneo, le stesse che Munch seppe esprimere per primo nel suo disperato Grido.” (G. Cricco – F. P. Di Teodoro, Itinerario nell’arte).

La sua sola grande opera firmata e titolata è il murale dipinto in una parete esterna della Chiesa di Sant’Antonio a Pisa eseguita nel 1989, dal titolo “Tuttomondo”, l’ultimo immenso graffito realizzato in ordine di tempo un anno prima di morire, in cui il suo modello di umanità, apparentemente serena, esprime appieno i disagi e le contraddizioni della sua generazione.

Così la Street-art ha trovato il suo narratore, il suo poeta, un giovane generoso pronto ad aiutare tutti coloro che lo richiedevano, che ha scelto la vita che voleva, drammaticamente vissuta, iniziata nel 1958 a Reading in Pensilvania e culminata a New York nel 1990 con la morte per AIDS.

A lui viene associata la figura di Paolo Buggiani, un artista toscano di Castelfiorentino arrivato a New York nel 1962 rimasto subito affascinato dalla “grande mela” in cui chiunque avesse qualcosa da dire poteva farlo liberamente per esprimere impressioni, progetti e aspettative nella certezza che questi si sarebbero poi realizzati. La sua adesione all’arte di strada è naturale come naturalmente si crea l’amicizia con Keith Haring che lo incoraggia e lo rende partecipe delle ricerche artistiche da lui intraprese. Così nascono le sue opere americane che celebrano la metropoli con i sui grattacieli che sovrastano le strade nelle quali si svolge una vita in cui l’uomo fa del movimento fisico uno dei caratteri del suo vivere in una società che ha, in questo aspetto, uno dei suoi punti di forza. Le figure sono caratterizzate da un’aura che le contorna con la sua luce, il suo colore e la dinamicità ottenuta con segni che sviluppano un significato simile ai grafemi delle vignette dei fumetti e ne costituiscono l’evoluzione. I ghirigori colorati che opera sulle forme preludono, poi, alle performance successive che l’artista realizza utilizzando la fiamma e quindi il fuoco che circuisce l’immagine e le conferisce dinamicità mentre la consuma. Il carattere effimero di questa è anche la prerogativa di altri movimenti artistici quali la body-art, la land-art e di altre correnti contemporanee: l’opera d’arte non è fatta per durare ma può essere distrutta subito dopo aver comunicato il suo messaggio che “fotografa” la società che l’ha prodotta.

Il programma delle mostre venne arricchito anche da alcuni eventi scenici e performances che permisero di approfondire ulteriormente la conoscenza degli artisti e delle loro singolari e affascinanti poetiche.

Giombattista Corallo

 

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Andy Warhol

 

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Pietro Psaier

 

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Keith Haring

 

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Paolo Buggiani

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