Nell’opera qui descritta è rappresentato il tema iconografico della Vergine col Bambino e Apostoli e si trova collocata nel transetto destro della Chiesa di San Leonardo di Arcidosso, nell’altare di San Bartolomeo.
A destra è raffigurata la Madonna, seduta reggente il Figlio seminudo in atteggiamento di benedizione, con il braccio destro alzato che si sporge in avanti verso gli altri personaggi della composizione. La Vergine indossa la tradizionale tunica rossa parzialmente coperta da un velo trasparente chiaro e l’ampio mantello di colore azzurro. Ha il capo coperto da un panno anch’esso chiaro e poggia, insieme al Bambino, sopra una voluminosa nuvola giallognola che riprende il colore dello sfondo giallo-azzurro dal quale si distaccano.
A sinistra, nell’angolo inferiore della composizione frontalmente alla Vergine con il Figlio, è dipinto un personaggio maschile, in ginocchio, con la barba brizzolata che porge, con la mano destra, la propria pelle verso di loro: si tratta dell’Apostolo Bartolomeo. Di lui non si sa molto perché nel Nuovo Testamento non si parla tanto della sua vita. La Legenda aurea riporta le affermazioni di Doroteo che dice che Bartolomeo subì il martirio, crocifisso con la testa in basso, in una città dell’Armenia chiamata Albane e di Teodoro il quale dice che morì per scorticamento, sempre in Armenia: “Mentre così l’apostolo parlava fu annunziato che ad Astiage l’idolo di Baldach era caduto in pezzi. A tale notizia il re si stracciò le vesti e ordinò che l’apostolo fosse prima battuto e poi scorticato vivo.” (Jacopo da Varagine, Legenda aurea). È raffigurato come una persona di mezza età, con barba e capelli scuri, riconoscibile da tre elementi che sono i suoi comuni attributi: il coltello, strumento del suo martirio, il libro, e la propria pelle che egli tiene in mano (Giudizo Universale, Michelangelo, 1536-1541, Roma, Città del Vaticano, Cappella Sistina).
Il momento che l’iconografia del personaggio rappresenta più di frequente è il martirio. Il tema vede la figura di Bartolomeo legato agli alberi (Martirio di San Bartolomeo, Nicolò di Liberatore detto l’Alunno e Lattanzio di Nicolò, Foligno, Chiesa di San Bartolomeo di Marano), mentre è scorticato vivo dai suoi carnefici, che ricorda un tema classico con il quale ha molto in comune: l’uccisione del sàtiro Màrsia che aveva osato sfidare il dio Apollo in una gara musicale ma, risultato perdente, fu fatto scorticare vivo.
Ha pochi capelli sul capo, indossa una tunica di colore giallognolo e un ampio mantello rosso che lo ricopre in parte. La pelle è di colore marrone.
Dietro a Bartolomeo, in posizione eretta, si trova un altro apostolo che regge in mano l’elsa di una lunga spada posta in posizione verticale, elemento che lo fa riconoscere come San Paolo.
Paolo Apostolo, nato a Tarso, in Asia Minore, nel 10 d.C. ma cittadino romano da parte del padre, si convertì al cristianesimo dopo essere stato persecutore dei cristiani. Divenne un discepolo di Cristo anche se non fece parte del gruppo originario dei dodici: “Saulo intanto continuava a minacciare i discepoli del Signore e faceva di tutto per farli morire. Si presentò al sommo sacerdote, e gli domandò una lettera di presentazione per le sinagoghe di Damasco. Intendeva arrestare, qualora ne avesse trovati, uomini e donne, seguaci della nuova fede, e condurli a Gerusalemme.” (Atti, 9, 1-2). Subì il martirio e fu decapitato per il diritto, in quanto cittadino romano, ad una morte più rapida a differenza di Pietro che venne crocifisso nello stesso giorno. Dal Medioevo al Rinascimento è raffigurato come un uomo basso e calvo e con una barba scura. Successivamente fu rappresentato di alta statura e con folta barba bianca. Il suo attributo è, principalmente, la spada, strumento del suo martirio ma può essere raffigurato con una colomba (lo Spirito Santo) vicino al suo orecchio come autore di scritti ispirati (le Lettere). Fra tutti i temi iconografici, quello maggiormente trattato, è la sua conversione. Paolo è a terra appena caduto dal cavallo, folgorato dalla luce divina: “Cammin facendo, mentre stava avvicinandosi a Damasco, all’improvviso una luce dal cielo lo avvolse. Cadde subito a terra e udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» E Saulo rispose:«Chi sei, Signore?». E quello disse: «Io sono Gesù che tu perseguiti! Ma su, alzati, e va’ in città: là c’è qualcuno che ti dirà quello che devi fare».” (Atti, 9, 3-6) (Conversione di san Paolo, Michelangelo, 1542-1545, affresco, Roma, Città del Vaticano, Cappella Paolina; Conversione di San Paolo, Caravaggio, 1600-1601, olio su tela, Roma, Chiesa di Santa Maria del Popolo, Cappella Cerasi).
Alla sua sinistra lo affianca un altro ospite della composizione riconoscibile dal bordone (bastone del viandante) che regge con la mano sinistra; ha una lunga barba ramata, veste un mantello giallo-ocra e si china appena verso il Bambino. Si tratta di Giacomo Maggiore figlio di Zebedèo e fratello di Giovanni Evangelista, era pescatore in Galilea; fu ucciso per la sua appartenenza alla comunità cristiana: “In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare la Chiesa per colpire alcuni suoi membri. Fece uccidere Giacomo, fratello di Giovanni.”(Atti, 12, 1-2). Una leggenda medioevale racconta che Giacomo si recò come missionario in Spagna dove morì e fu sepolto a Compostela, località divenuta uno dei luoghi di pellegrinaggio cristiani più frequentati. È rappresentato con la spada in mano, strumento del suo martirio o con il bastone del pellegrino.
Segue un altro apostolo che, verosimilmente, risponde al nome di Giovanni Evangelista riconoscibile perché privo di barba, con i capelli biondi divisi da una riga centrale, un aspetto delicato e femmineo come, spesso, nell’iconografia corrente. Indossa una tunica di colore verde e un mantello giallo-ocra; secondo le scritture era l’apostolo prediletto da Gesù ed è considerato l’autore del Quarto Vangelo e dell’Apocalisse. Altri attributi sono: il libro, il calice (pieno di veleno obbligato a berlo dal sacerdote del tempio di Diana ad Efeso ma che lo lasciò illeso), e l’aquila animale che vola alto nel cielo, trovandosi più vicino a Dio, così come Giovanni che fu molto vicino a Cristo e ha avuto una conoscenza più diretta di Gesù.
Fu presente sul Monte Tabor nel momento della Trasfigurazione, insieme a Pietro e a Giacomo e, nelle rappresentazioni dell’Ultima Cena, è l’apostolo che appoggia il capo sul petto di Cristo o è appoggiato con le braccia e la testa sul tavolo. Compare ai piedi della croce insieme alla Vergine Maria ed è presente anche nella Deposizione di Cristo dalla Croce. Qualche volta è rappresentato mentre subisce il martirio in un calderone di olio bollente dal quale il santo esce indenne: “L’imperatore Domiziano, quando venne a conoscere la fama dell’apostolo, lo fece venire a sé e comandò che fosse immerso in una caldaia di olio bollente davanti alla porta Latina: ma quegli ne uscì illeso, così come sempre era stato immune dalla corruzione della carne. L’imperatore capì che Giovanni non avrebbe cessato di predicare e lo relegò nell’isola di Patmos dove nella solitudine scrisse l’Apocalisse” (Jacopo da Varagine, Legenda aurea). Morì, vecchio, ad Efeso: “Leggiamo nel libro di Isidoro che quando S. Giovanni fu giunto all’età di 99 anni, 67 dopo la passione di Cristo, gli apparve il Signore con i suoi discepoli […]. Fece poi scavare una fossa quadrata vicino all’altare e ordinò che la terra scavata fosse gettata fuori di chiesa […]. Discese poi nella fossa, stese le mani verso il cielo […]. Quando il santo ebbe finito di pregare una luce così sfolgorante lo avvolse che nessuno più riuscì a vederlo […]. Quando la luce disparve la fossa fu trovata piena di manna ed ancor oggi la manna nasce da questa fossa come sgorga dalla terra una fonte.” (Jacopo da Varagine, Legenda aurea).
Il registro superiore sinistro è occupato da una voluminosa tenda spessa di colore verde scuro dalla quale pendono due grandi “nappe” dalle rispettive cordicelle, una cortina che appare come una sfera di pieghe dal particolare e plastico gioco di chiaroscuro con il risultato di un senso tattile di rilevante interesse.
Gli echi della pittura romana dell’epoca sono molto evidenti; ma chi l’ha dipinto? Così leggiamo tra l’altro: “Il nome dell’autore dell’icona dell’altare, quale risulta nella relazione della visita pastorale del vescovo Giustino Bagnesi è: «manu preceptoris Caroli Maratta» (cioè: del pittore Andrea Sacchi maestro di Maratta). Nella successiva relazione del vescovo Bernardino Pecci, leggiamo: «depicta est manu Caroli Maratta». Con molta perplessità passammo queste notizie a Marco Ciampolini che ha individuato l’autore della tela dell’altare di San Bartolomeo nel ben più modesto Giovanni Battista Ramacciotti, «che della produzione barocca sceglie con meditata consapevolezza le prove più nostalgicamente classiche, che, appunto, echeggiano in Andrea Sacchi». “Giovanni Battista Ramacciotti (Siena 1628-1672) è un artista che non fu inferiore a nessuno a Siena dopo la partenza per Roma di Raffaello Vanni e Bernardino Mei (anni 1655-1657), eppure non ebbe una fortuna corrispondente ai meriti di un pittore di talento. Un artista ancora in via di definizione per l’esiguità del catalogo che, per la prima volta viene discusso da Marco Ciampolini in questa occasione.” (Salvatore Di Salvo, Novità Storicorico-Artistiche sulle Chiese di Arcidosso, in Le chiese di Arcidosso e la Pieve di Lamula).
L’insieme compositivo rompe gli schemi tradizionali di una struttura a simmetria bilaterale verticale, e si presenta equilibrato nelle parti in cui il maggior numero di elementi che conferisce un certo peso al registro sinistro, è bilanciato dalla grande massa pittorica costituita dalla figura della Vergine col Bambino che poggia su una nuvola di rilevante entità. Le figure sono monumentali e occupano, in altezza, lo spazio che le ospita nella loro costruzione con un’apprezzabile morbidezza dei valori cromatici. Il quadro misura cm 247×177.
Giombattista Corallo