Il castagno è albero della vita. Per l’Amiata questa definizione non è né un eufemismo né un’iperbole: è una verità antica, che risale alla notte dei tempi, quando l’uomo primitivo si installò, per la prima volta, su questo antichissimo vulcano spento.
Motivo degli stanziamenti, è ovvio, la ricchezza d’acqua e, probabilmente, la possibilità di attingere dai boschi della zona frutti per il sostentamento e legname per le palafitte e le capanne. Forse il castagneto dell’Amiata è databile all’era cenozoica, quando le latifoglie cominciarono a irradiarsi in Europa, come testimoniano i reperti fossili di quel periodo. Il Fenaroli avvalora questa ipotesi con osservazioni e dati inerenti le epoche glaciali e post glaciali, pronunciandosi poi a favore di un indigenato del genere “castanea” nel nostro continente, affermando che, se non proprio la “castanea sativa”, almeno i suoi progenitori popolarono l’Europa centro meridionale durante l’era terziaria: “Difficile e pressoché impossibile, per il momento stabilire il centro di diffusione e la sua area naturale di distribuzione, se non attribuendola, in termini lati, all’Eurasia mediterranea”.
Si può ipotizzare che l’uomo primitivo dell’Amiata capì, già dal quaternario, che il castagno, insieme con le numerose fonti, gli avrebbe assicurato la vita. Una convinzione che, dapprima intuitiva, divenne razionale, tanto che nel Medio Evo, trovò posto nelle raccolte statutarie di tutti i popoli della zona. Così nel “Constitutum Comunis Montis Pinzutulì” (Monticello Amiata) del Duecento si legge “Parimenti stabiliamo che nessuno arrechi danno né tagli qualche castagno (proprio) e nemmeno nei castagneti altrui; né tagli qualche albero domestico di un altro contro la sua stessa volontà; e se taluno avrà contravvenuto a questa norma sia punito con una multa di 5 soldi e risar cisca il danno”. Ma anche la Comunità di Santa Fiora alla fine del Cinquecento mostra una preoccupazio ne speciale per i boschi in generale e i castagneti in particolare, in relazione sia ai frutti che alla produzione del legname, così si proibisce di “cavar castagnoli, sbarbare fruste di castagna buone a piantarsi, diramare, spedonare, sbucciare qualsiasi pianta anche propria, senza permesso, tagliare legna verde per i seccatoi delle castagne”. Siamo di fronte, in quel di Santa Fiora, a una vera e propria legge forestale. Pure Arcidosso non è da meno, infatti dagli statuti del 1550 si legge: “Castagno alcuno, tanto di communo, quanto di particolare persona, senza licenza del padrone, nessuno di tagliare ardisca” (si noti la perentorietà del verbo). Segue la disposizione di multe salate per chi lo taglierà secco (soldi venti) e ancor più salate per chi si azzarderà a tagliarlo verde (quattro denari) e anche per colui che taglierà un solo ramo verde (“quattro denari, anzi soldi quaranta”); la stessa multa subirà chi taglierà “qualunque sorte di piantone et arbore nella corte, o destretto, di Arcidosso”. Più particola reggiate le norme contenute negli Statuti di Seggiano del 1563, rimaneggiati sulla base di quelli già esistenti un paio di secoli prima, al tempo del Serenissimo Gran Duca Cosimo I dei Medici e ricopiati nel 1745, regnante Francesco di Lorena, Gran Duca VIII. Così ordinano: “Nessuna perso na possa nè debbi, nella corte di Seggiano, tagliare alcun suo castagno o d’altri (la pena fissata è di dieci lire), e li Priori e Sindico non possino, né sia loro lecito, dar licenza ad alcuno di poter tagliare alcun casta gno, senza espressa licenza del Consiglio”. Si consente però di tagliare “per la casa sua o altro suo benefizio, e parimenti diramare, rimunire (rimondare) e diradare per acconcia e comodo dell’arbolo” e si dichiara lecito “d’accusare chi contraffacesse, tenendosi il suo nome segreto”. Altri divieti erano legati al calendario anche per la raccolta delle castagne: “Castagne sue proprie nessuna persona possa nè debbi cogliere in alcun luogo del distretto di Seggiano perfino al 12 del mese di Ottobre (pena soldi dieci per ciascuno e per volta), e castagne di altri non possi cogliere perfino al 12 di novembre (pena soldi venti), e così ogni anno si debbi osservare et emendi il danno”. Particolari norme sono previste per il proprietario di “castagni in Bugnano, o nella Villa” E questo è probabilmente legato al fatto che in questi luoghi le castagne cadono entro tempi brevissimi. Infatti è vietata la raccolta fi no al 12 di Ottobre poi dopo due giorni di raccolta riservata al proprietario, possano essere raccolte da tutti. Queste consuetudini si sono mantenute quasi fino ai giorni nostri. Poi, “dal 15 del mese di Novembre in là, ciascuno del castello di Seggiano possa, e a lui sia lecito senza pena o bando, cogliere castagne sue o d’altri in qualunque luogo fussero per lo distretto di Seggiano per tutto il mese di Novembre”. E dà disposizioni precise anche per il periodo seguente. Disposizioni precise e attente, dunque, per il castagneto, cui se ne aggiungono altre riguardanti la faggeta (divieto di seminagione e ordine di serrarla). Anche a Casteldelpiano i capitoli dedicati al castagno assumono rilevanza particolare, infatti accanto alle reprimende e multe contro coloro che “ardiscano” (anche qui il solito verbo di signifi cato vigoroso) far danni nel castagneto o coglierne i frutti senza attenersi alle disposizioni comunitarie, ci sono frasi di commento che esaltano l’importanza del frutto: “Le castagne sono el pane de la povera gente e non hanno altro sussidio”. Alle castagne – rimarca il famoso storico Ildebrando Imberciadori nella introduzione agli statuti del 1571 – si dà, forse, anche più valore del vino: il vino viene prodotto e venduto da una minoranza, mentre le castagne, sia per proprietà che per possesso, sia per diritto consuetudinario della raccolta dei rimasugli, detto “ruspo”, dal 1° dicembre a carnevale, sono nella possibilità di tutti. E poi c’è da considerare che non solo la gente trova sostentamento nella castagna fresca e in quella secca che dà farina e polenta, ma ricava denaro dai frutti dei castagni “insitati” (innestati), cioè dai marroni che, per il loro pregio, hanno un mercato di particolare rilevanza. Insomma, con la castagna niente fame e possibilità di campare perché, per esempio a Casteldelpiano, ogni abitante può contare su 2 quintali di farina dolce, pari a 6 quintali di castagne secche (circa 3.450 calorie giornaliere, se si tien conto che ogni etto di castagne sviluppa 210 calorie). Per tutti questi motivi, durante la castagnatura ci sono le ferie giudiziarie (in libertà assoluta e senza alcuna eccezione), le quali sono stabilite dal 18 ottobre, giorno di San Luca evangelista, all’11 novembre, San Martino. Ma del castagno non si guarda solo al frutto, c’è la foglia per riempire il materasso e ottenere lo strame e sopratutto poi c’è la legna, indispensabile per mantenere la brace nel camino e riempire la “pretina” con cui riscaldare il letto. Perciò il divieto (le multe non sono di poco conto per chi contravviene) di far mercato esterno di legna. Verso la fine del Cinquecento la Repubblica di Siena assegna a 300 capifamiglia Castelpianesi i 400 ettari della Selva di Gravilona, composta di castagneto ed orti. La delibera fu certo interessata, perché la Repubblica mirava a ricavarne vantaggi finanziari sostanziasi, ma, allo stesso tempo, rappresentò un atto rivoluzionario, che con ogni probabilità diede origine alla “piccola proprietà contadina”. Se è certo che la coltura del castagno ha rappresentato nel passato la principale forma di sostentamento e una risorsa economica vitale per le popolazioni montane dell’area amiatina, tutt’oggi è strategica sotto diversi punti di vista. Ad essa si lega, pertanto, una profonda tradizione che ha le sue basi in una pratica di selezione delle varietà locali, in condizioni pedologiche e climatiche particolarmente favorevoli, nonché nella diffusione di tecniche per la conservazione e nel suo utilizzo in campo gastronomico. Le selve castanili del Monte Amiata ricoprono una superficie complessiva di 5.168 ettati, di cui 2.994 da frutto (di cui 95,2% in Provincia di Grosseto e 4,8% in Provincia di Siena), di cui 2.000 ettari con impianti ancora coltivati e 850 ettari abbandonati e 2.224 cedui da legno. La maggior concentrazione degli impianti di castagneto da frutto si riscontra in ogni caso nelle zone ovest/sud–ovest del cono vulcanico dell’Amiata e particolarmente nei Comuni di Arcidosso, Casteldelpiano, Cinigiano, Roccalbegna, Santa Fiora, Seggiano e Castiglione d’Orcia, più limitate, talvolta trascurabili, sono le superfici negli altri comuni. I boschi di castagno interessano soprattutto il versante Grossetano (oltre il 95%), estesi soprattutto nella parte basale del monte, ovvero nella fascia vegetazionale sottostante a quella del faggio. In complesso l’area di vegetazione del castagno è ubicata a quote comprese fra i 500 alle pendici della montagna e i 1.100 metri s.l.m. con un’altitudine prevalente intorno ai 750 metri slm ed è contraddistinta, da un punto di vista geologico, prevalentemente da terreni eocenici e terreni vulcanici (trachiti) acidi, ideali per la crescita del castagno (Castanea sativa – da sativus, coltivato).
La vicinanza degli impianti castanicoli ai centri abitati è una costante dell’Amiata, che ha le sue radici nel passato. Infatti esigenze di coltivazione e raccolta dei frutti facevano preferire selve castanili prossime ai paesi. Per quanto concerne la morfologia delle aree a castagno da frutto sono prevalentemente contraddistinte da acclività accentuate che limitano, talvolta anche pesantemente, le ancor modeste meccanizzazioni delle più semplici cure colturali, come le ripuliture e limitati sono i terreni con pendenze moderate o pianeggianti dove si riscontrano talvolta notevoli rocciosità affioranti, come nella zona di Seggiano. Da un punto di vista più strettamente selvicolturale, i castagneti da frutto in coltivazione presentano tutti sesti di impianto irregolari e hanno una densità di 90/100 piante a ettaro. Inoltre i castagneti acquistano pregio per molteplici funzioni che svolgono: da quella di protezione e difesa idrogeologica, a quella estetica e paesaggistica fino alla turistico–ricreativa. La Comunità Montana dell’Amiata chiese nel 1994 al Ministero dell’Agricoltura il riconoscimento IGP (indicazione geografica protetta) per la castagna dell’Amiata al fine di tutelarne la qualità e il mercato poi si dovette attendere fino al 7 settembre 2000 per la certificazione ufficiale. L’ottenimento dell’Indicazione Geografica Protetta “Castagna del Monte Amiata” è per le varietà Cecio, Bastarda Rossa e Marrone. In ordine al Cecio, l’albero, di grandi dimensioni, ha lento sviluppo, la chioma è folta con rami espansi, il tronco marrone scuro e i rametti sono grossi e lisci. Le gemme sono piccole e coniche, le foglie ovato-lanceolate. Il frutto è generalmente di grosse dimensioni con una forma globosa. Il pericarpo è bruno-rossastro, lucente, con striature più scure. L’episperma ha color fulvo chiaro e si asporta facilmente. Il seme ha un color crema chiaro ed al gusto risulta dolce. È una cultivar precoce di buon pregio e buona conservabilità, ed è utilizzata per consumo fresco e per l’industria alimentare. Per quanto riguarda la Bastarda Rossa, l’albero è di grandi dimensioni e ha medio sviluppo. La chioma è aperta e i rami espansi, i rametti sono lisci color fulvo e il tronco è grigio chiaro. Le gemme sono medio piccole e le foglie lanceolate-ellittiche. Il frutto ha grandi dimensioni e forma ovale con apice poco pronunciato. Il pericarpo è persistente di colore rossastro con striature marroni poco evidenti al tatto. L’episperma è piuttosto aderente di colore avana, con difficoltà media di asportazione. Il seme ha un colore crema chiaro e sapore dolce. È una varietà di buon pregio particolarmente diffusa per il consumo fresco. Infine il Marrone, il cui albero, di medie-grandi dimensioni, ha buon vigore e sviluppo vegetativo. La sua chioma è aperta con rami eretti, e talvolta penduli. Il tronco è rugoso e marrone grigiastro, i rametti lisci sono di notevole grandezza. Le gemme sono grandi di color rosso fulvo e le foglie ellittico-lanceolate. A seconda della zona di origine, il frutto ha generalmente dimensioni grandi e forma variabile tra obovata-rotondeggiante ed ovale-ellittica. Anche il pericarpo, ossia l’involucro esterno, può avere una maggiore o minore consistenza con striature in rilievo, più o meno pronunciate, di colore variabile dal rosso fulvo al marrone rossastro. L’episperma, l’involucro interno, può essere di colore avana o marrone, facilmente asportabile, ed il seme generalmente ha un colore bianco crema, dal sapore particolarmente dolce e delicato. Ha un elevato valore commerciale ed essendo una varietà di pregio viene usata per il consumo fresco, ma in maniera speciale, per l’industria dolciaria. Al fine di rilanciare le produzioni locali e difendere la qualità e la tipicità del prodotto amiatino, sempre nell’anno 2000, precisamente il 16 febbraio, nacque ad Arcidosso la “Associazione per la Valorizzazione della Castagna del Monte Amiata IGP” per volontà di un gruppo di castanicoltori e col supporto strategico degli enti territoriali locali (comunità montane e comuni). Avente come scopo principale quello di promuovere una più diffusa conoscenza del prodotto e del territorio a cui essa si lega attraverso una serie di iniziative di carattere culturale e gastronomico, ivi inclusa la partecipazione alle manifestazioni più significative per la difesa dei prodotti tipici, i soci fondatori furono 43, di cui 8 enti pubblici e 35 privati fra castanicoltori e commercianti. Oggi l’associazione, senza scopo di lucro, opera su 12 comuni delle provincie di Grosseto e Siena, contando circa 315 associati, di cui circa 190 iscritti al sistema di certificazione IGP e tra questi 3 sono confezionatori. Le finalità dell’Associazione sono la valorizzazione e tutela della castagna del Monte Amiata IGP, fondamentale riconoscimento europeo di qualità e del territorio a essa collegato con davvero molteplici attività: punta all’innovazione e al miglioramento delle condizioni di produzione; fornisce informazioni tecniche alle aziende associate; promuove attività culturali e scientifiche legate al patrimonio castanicolo; organizza corsi di formazione rivolta in particolare ai giovani; promuove i prodotti del castagno (castagna, trasformati, legno, miele ecc…); vigila sull’applicazione della certificazione IGP; gestisce la Strada della Castagna del Monte Amiata IGP; diffonde la castanicoltura e le attività culturali a essa associate; conserva e diffonde varietà locali, da frutto e da farina; monitora e salvaguarda il castagno da fitopatologie con programmi di lotta; individua tecniche di conservazione, lavorazione e commercializzazione del prodotto; collabora con le aziende locali per progetti d’innovazione e diversificazione; aderisce a progetti di cooperazione nazionale e internazionale; partecipa a rassegne, saloni, fiere di settore e manifestazioni legate al castagno; è presente in programmi radio, tv, web a livello locale e nazionale; collabora con scuole per formazione di studenti sulla cultura del castagno; appoggia e sostiene progetti innovativi con istituti di ricerca. Il riconoscimento di una I.G.P. al territorio castanicolo del Monte Amiata ha costituito un fondamentalmente strumento di sviluppo, controllo e disciplina, volto alla salvaguardia del territorio, dei produttori e consumatori, non solo per i soli aderenti all’associazione. E l’avvento dell’IGP ha senza dubbio portato a un ulteriore recupero delle superfici castanicole abbandonate e a un aumento di valore dei terreni. L’interesse sempre crescente verso il prodotto castagna e anche ultimamente verso i suoi derivati (farina, marroni secchi, ecc…) sta richiamando l’attenzione di giovani imprenditori verso il settore castanicolo, intravedendo nuove opportunità lavorative e una fonte di reddito non più solo integrativa. Così i castagneti da frutto amiatini hanno dimostrato un’interessante potenzialità di ripresa produttiva, legata non solo alla prolungata vitalità di queste piante, ma anche e soprattutto alla concretizzazione di quel rinnovato interesse che oggi sembra riscontrarsi verso questa coltura non solo da parte degli operatori agricoli, ma anche dai vari Enti Pubblici interessati alla gestione del territorio. Così rappresentano ancor oggi una componente non trascurabile per l’economia agricola di quest’area montana e rivestono inoltre una crescente importanza dal punto di vista naturalistico, paesaggistico e turistico-ricreativo. Tanto che è stata costituita anche la “Strada della Castagna del Monte Amiata”, un percorso all’interno di un territorio specifico indicato come “paesaggio del castagno e delle attività umane in esso presenti e proprie di tale paesaggio”. Sul vulcano estinto del Monte Amiata esiste una civiltà del castagno di grande ricchezza sia antropologica che naturale, le cui tracce risalgono all’ottavo secolo. Nel paesaggio del castagno del Monte Amiata è evidente un forte legame tra un ambiente naturale in evoluzione e il lavoro dell’uomo, che progressivamente lo ha modellato. I castagneti si presentano infatti con un duplice aspetto di frutteto e di bosco: nel tempo l’attività agricola ha assunto anche il valore di un’attività forestale e di un’attività culturale, creando e mantenendo un patrimonio centenario di tradizioni e mestieri. Gli uomini e le donne che hanno pazientemente modellato il castagneto – un paesaggio fatto a mano – non sono stati semplici coltivatori ma “giardinieri di un paesaggio”.
La Strada della Castagna è composta di dieci sentieri attraverso i quali si intende valorizzare le risorse paesaggistiche e naturali presenti sull’Amiata e fornire un valido supporto per l’attività turistica all’aria aperta: collegando l’attività fisica con la riscoperta di un territorio e l’opportunità al turista/visitatore di poter degustare sia i prodotti derivati dalla castagna che tipici locali. La Strada si sviluppa sul territorio delle Provincie di Grosseto e Siena e nello specifico nei Comuni di: Arcidosso, Castell’Azzara, Castel del Piano, Cinigiano, Roccalbegna, Santa Fiora, Seggiano e Semproniano in Provincia di Grosseto e Abbadia San Salvatore, Castiglione d’Orcia e Piancastagnaio, in Provincia di Siena. E attraversando i vecchi castagneti è possibile imbattersi in esemplari di piante monumentali, veri e propri “patriarchi vegetali” che hanno sfidato le insidie del tempo, testimoni della nostra storia, contenitori di tradizioni e culture popolari, protagonisti di fiabe, miti e leggende. Alberi antichissimi, magici e incantati, che hanno assistito e resistito a guerre, incendi, terremoti, devastazioni, malattie, variazioni climatiche e quant’altro, spesso ancora capaci di produrre frutti. I “patriarchi vegetali” costituiscono un patrimonio naturalistico e storico di grande rilievo, infatti sono veri e propri monumenti paesaggistici, la cui longevità è di estrema importanza per il rilevante patrimonio genetico di cui sono portatori, avendo attraversato indenni secoli di avversità atmosferiche e cambiamenti climatici. Così sono giunti fino a noi con un messaggio genetico importantissimo, la biodiversità, valore da non perdere perché questo significherebbe diminuire le nostre possibilità di scelta per il futuro e rendere più precaria la nostra esistenza. E tanto è ancora viva la “civiltà della castagna” in Amiata che numerose sono le feste paesane che la celebrano: a Monticello Amiata – Cinigiano (GR) si tiene la “Festa della Castagna” (secondo fine settimana di ottobre), a Santa Fiora (GR) la “Sagra del Marrone Santafiorese” (secondo fine settimana di novembre), ad Abbadia San Salvatore (SI) la Festa d’Autunno (secondo e terzo fine settimana di ottobre), a Vivo d’Orcia – Castiglione d’Orcia (SI) la “Festa del Fungo e della Castagna” (secondo e terzo fine settimana di ottobre), ad Arcidosso (GR) “La Castagna in Festa” (terzo e quarto fine settimana di ottobre), a Cana – Roccalbegna (GR) la “Festa della Biondina” (terzo fine settimana di ottobre), a Campiglia d’Orcia – Castiglione d’Orcia (SI) la “Sagra del Marrone” (ultimo fine settimana di ottobre), a Castel del Piano (GR) la “Festa della Castagna”, a Piancastagnaio (SI) il “Crastatone” (ponte di Ognissanti). Vorrei concludere questo excursus sulla castagna del Monte Amiata citando alcuni passaggi di genti del passato che ne scrissero, a partire dal libro “Viaggio al Monte Amiata” di Giorgio Santi del 1795: “Tenere o mature, fresche, o seccate, crude o cotte, ridotte in farina, ed impastate poi in Nicci, in Castagnacci, in Frittelle, ed in Polenta danno esse sempre un alimento sano, che piace al gusto, e che lo stomaco volentieri abbraccia, ma la polenta specialmente è il cibo favorito, ed economico del Popolo, ed è essa tanto nutriente, che le persone additte ai lavori più duri di sega, di accetta, e di marra non di altro campano, che di polenta, e di acqua, o come scherzosamente quassù dicono, di pan di legno e di vin di nùvoli. Pur questa gente così nutrita è sana, forte, robusta, e capace di resistere alle fatiche sì aspre, e sì diuturne, che spaventerebbero, ed opprimerebbero i più vigorosi, e meglio alimentati lavoratori delle pianure”. Gino Galletti nel suo libro “Nel Monteamiata”, così scrive: “I castagneti immensi rivestono il dorso della montagna, e il loro ampio fogliame un po’ giallo si fonde con l’oro intenso del sole. Le lappe maturano e si aprono; e quando viene il buon vento che scuote le fronde, s’odono su per le coste erbose e muscose e per le anfratte e per tutti i clivi e i pendii, in alto e giù a valle, piccoli colpi e tonfi sordi, ma incessanti: sono le castagne che sgusciano dalla bocca aperta delle lappe e cadono sull’erba o sui massi trachitici; sono le lappe stesse che vengono giù, più gravi, più rare, col dolce frutto ancora stretto nella loro scorza spinosa”. E infine ecco le parole di Padre Ernesto Balducci: “Per noi il tempo della castagnatura era una benedizione, vissuta, in qualche modo, con spirito d’uguaglianza. Anche chi non possedeva un suo castagneto, usufruiva delle regole comunitarie anteriori all’instaurazione del principio di proprietà privata. Lasciata la scuola, noi bambini si andava a far greppo, in parole borghesi a rubare lungo i bordi dei castagneti, ma con qualche sortita nel folto dei marroni, minacciati dal grido tollerante dei proprietari. E le castagne, ammucchiate in casa, ci garantivano il vitto quotidiano”. La castagna del Monte Amiata, biologica per eccellenza, è ricca di glucidi e protidi, vitamine e sali minerali, ha funzione antianemica, antisettica, antidepressiva ed è adatta all’alimentazione di bambini e anziani, per i convalescenti e dispeptici, per chi svolge lavori pesanti e per chi pratica sport. Questo frutto gustoso si è svincolato definitivamente da quel concetto di povertà e di dura fatica che per anni ne ha impedito una larga diffusione e infatti in campo gastronomico già assistiamo a una maggior attenzione da parte degli chef più qualificati. Così l’Associazione per la Valorizzazione della Castagna del Monte Amiata IGP si adopererà affinché sempre più ciò avvenga e la castagna amiatina possa giungere sulle tavole dei consumatori con le caratteristiche precipue dettate dal proprio disciplinare di produzione, che ne garantiscono l’assoluta qualità, tipicità, unicità.
Andrea Cappelli
Articolo della rivista “Oinos”, anno XII, n. 38